"Dirigere le partite è una responsabilità"

"Dirigere le partite  è una responsabilità"

"Dirigere le partite è una responsabilità"

Gli esami non finiscono mai per un arbitro, figuriamoci quelli di un anno in cui non ci sono alternative: alla fine o si viene promossi alla Can per potere arbitrare in A e in B, oppure si viene dismessi. "Non vivo tutto ciò come un peso, per me – dice il 37enne jesino Filippo Giaccaglia, al quinto anno in C, insegnante di Scienze motorie alle superiori – arbitrare è un hobby che mi ha permesso di togliermi molte soddisfazioni, è chiaro che se dovesse arrivare la promozione sarei soddisfattissimo". Giaccaglia si è dato all’arbitraggio per esigenze di studio. "È vero. Studiavo Scienze motorie a Urbino e ho iniziato ad arbitrare – ricorda – perché avevo bisogno dei crediti scolastici garantiti da questa attività. Negli anni dell’ateneo ho così frequentato il corso e da quel momento mi ha contagiato sempre più questa passione". Una passione che al momento l’ha portato in C. "Mi sembra che sia l’arbitro più grande della serie".

Una scelta talmente forte da fare passare in secondo piano quella di giocare a calcio. "In verità – ammette – c’era già l’idea di smettere per lo studio, ero un giocatore della Real Vallesina (Eccellenza)". L’esperienza di arbitro gli è stata utile nella vita di tutti i giorni. "Mi ha reso più sicuro facendomi vincere la timidezza. In gara si hanno pochi istanti per prendere una decisione e poi ci si rapporta con persone, magari anche più grandi, e occorre dire tutto con sicurezza".

A volte ci sono situazioni che rendono le partite particolari. "Ricordo nel 2002 un Foggia-Avellino di fronte a 5.000 persone, una partita in diretta su Rai Sport, sospesa a causa delle intemperanze degli spettatori". In carriera non sono mancate quelle gare con tanta gente sugli spalti. "Forse – dice Giaccaglia – è stata Cesena-Olbia con 10mila persone allo stadio, ma anche in Catania-Foggia di tre anni fa non si scherzava".