PAOLO TOMASSONE
Economia

Marchini, vita da chef: "Sognavo di fare il commercialista. Apro un’altra attività"

Dalla facoltà di economia al lavoro nel ristorante di Massimo Bottura "La svolta della mia vita, ma per me la laurea è stata fondamentale. Non basta saper cucinare, per fare impresa serve molto altro".

Marchini, vita da chef: "Sognavo di fare il commercialista. Apro un’altra attività"

Marchini, vita da chef: "Sognavo di fare il commercialista. Apro un’altra attività"

La moda degli ultimi anni in Emilia-Romagna è di chiamare Valley tutto quello che funziona, dalle auto al packaging, dal biomedicale alla ceramica, fino all’alimentare. Settori in cui primeggiamo a livello mondiale non solo per alcune delle più straordinarie invenzioni che sono nate dai grandi marchi, ma per il ‘clima’ ideale che attraversa tutta la via Emilia e permette ai tanti talenti di non andare sprecati. Ricercatori, piccoli imprenditori, artigiani, ognuno con il proprio lavoro e i propri sacrifici fa grande questo territorio. "Quando sono arrivato qui, mi ha subito colpito la capacità di chi abita queste terre di sapersi rimboccare le maniche, essere proattivo nei confronti della propria attività e del proprio settore di appartenenza. Non si ottiene niente gratis, i risultati arrivano per sforzi, competenze e capacità. Credo che questo sia l’abc dello sviluppo di Modena". Lo dice Luca Marchini, che prima di diventare uno dei più grandi chef italiani, ha studiato per anni e anni come funzionano le buone imprese, il segreto del loro successo. Lei è toscano d’origine, perché ha scelto di vivere a Modena?

"Mio padre era dirigente di una banca nazionale e viaggiamo parecchio. Ho cambiato sette città, prima di arrivare qui nel 1988, quando avevo 17 anni. Ci è piaciuta veramente tanto: una città confortevole, l’approccio con le persone e con le strutture del posto è stato molto buono da subito. Ho terminato ragioneria all’istituto Barozzi, e poi mi sono iscritto a Economia, il mio sogno era quello di diventare dottore commercialista".

E il ‘food’ quando è entrato nella sua vita?

"Ho sempre avuto questa passione. Da adolescente cucinavo, al fianco di mia mamma, per i miei amici, per gli amici dei miei genitori. È sempre stato molto bello approcciarmi alla cucina, ai fornelli e alle ricette facendo anche tanti corsi di cucina amatoriale. Ai tempi dell’università ho lavorato quasi un anno in un ristorante molto tradizionale poco fuori le porte di Modena: il sabato e la domenica sera si facevano delle gran tigelle e scaloppine. Per me era una cosa bellissima poter lavorare in quel settore anche se, come detto, il mio sogno allora era di diventare commercialista". Quel tempo passato in ristorante non la distoglieva dallo studio?

"No, credo che fosse un tempo sano, un momento per potere riflettere anche sul mio futuro. Avere avuto la libertà di poter scegliere credo che sia stata una grande fortuna".

Quando è arrivata la svolta?

"In attesa di iniziare il praticantato da un commercialista, nel 1998, sono finito a lavorare in un grande ristorante, quello di Massimo Bottura. Lì ho deciso che era il momento di prendersi un anno sabbatico, per decidere che cosa dovevo fare della mia vita: intraprendere la strada del commercialista oppure diventare cuoco con la condizione però di essere anche ristoratore, quindi di aprire un mio locale. Dopo quell’esperienza, ho fatto altri lavori importanti con Jean Louis Nomicos a Parigi e poi con Bruno Barbieri. Ognuno di loro tre mi ha dato qualcosa di diverso e di essenziale per la mia formazione sia teorica che pratica. Dopo quattro anni e mezzo ho aperto L’Erba del Re".

Ha mai avuto dei ripensamenti?

"Mai, nessuno. È una cosa che mi piace molto. Probabilmente mi sarebbe piaciuta anche l’attività, non posso saperlo. Ma una cosa è certa: quella laurea in Economia e commercio è stata fondamentale per questi oltre vent’anni di esperienza imprenditoriale. Non basta saper cucinare. Per avviare nuove attività anche molto eterogenee, come ho fatto in questi anni, bisogna essere in grado di leggere un bilancio e di gestire un gruppo di persone che lavorano al tuo fianco. È grazie alla mia formazione che sono riuscito a diversificare la mia attività tra il ristorante, la trattoria Re Gras, gli eventi, la Bottega Da Re, la scuola, le consulenze come l’ultima avviata col gruppo Rmh Rosaria Marazzi Hotels, oltre a tutti gli altri progetti che sviluppiamo insieme alle altre realtà del territorio". Perché lo chef Marchini è così legato a Modena?

"Credo che ci sia una predisposizione della città e di tutto il territorio per quello che può dare. È indubbio che Modena sia una città molto ricca, ben servita rispetto a tante altre città. Ma c’è un particolare che mi ha sempre affascinato fin dal primo giorno: la capacità del modenese che abita queste terre di sapersi rimboccare le maniche, essere proattivo nei confronti di qualsiasi cosa si faccia. Non si dà niente per scontato, si ottiene un risultato soltanto grazie agli sforzi, alle competenze e alle capacità che ciascuno è in grado di mettere in campo. Questo credo che sia sempre stato l’abc dello sviluppo di Modena, anche ai giorni nostri".

Avrà pure qualche difetto...

"Come dicevo prima, Modena è una città molto ricca, molto attrattiva per le tante persone che cercano un’opportunità nella vita. Questo nel bene e nel male, come vale per tutte le città benestanti. Tutti i fenomeni, anche quelli meno positivi, vanno governati. Però questo non è il mio mestiere, io faccio il cuoco e il ristoratore".

Che cosa bolle in pentola in questo momento?

"Da qualche mese ho avviato questo bellissimo ed entusiasmante progetto di consulenza per la ristorazione del nuovo hotel Rmh Raffaello. Sono ancora in corso i lavori, ma a breve aprirà anche il ristorante Sottoluce, dove potranno venire anche le persone esterne all’albergo".

E per il futuro?

"Apriremo un’altra attività che per me sarà il coronamento, il massimo dell’espressione delle attività avviate in questi anni. Ma è ancora presto per parlarne, ci risentiamo tra qualche mese".