Milan: Pioli e i maestri. La via Emilia è la strada per il paradiso

La leggenda di Sacchi, i trionfi di Ancelotti, l’impresa di Zaccheroni e i record di quest'anno hanno un minimo comun denominatore: l'Emilia Romagna

Milan: Carlo Ancelotti, Stefano Pioli e Arrigo Sacchi sono nati in Emilia Romagna

Milan: Carlo Ancelotti, Stefano Pioli e Arrigo Sacchi sono nati in Emilia Romagna

Bologna, 8 dicembre 2020 – Quando il Diavolo punta al paradiso spesso imbocca la via Emilia. È qui, in una terra che nutre le intelligenze di passioni incendiarie, che il Milan scova i timonieri vincenti. Il palmares ne è testimone. Degli ultimi sei allenatori che hanno aggiunto almeno un trofeo alla bacheca rossonera, tre sono nati in Emilia Romagna: Arrigo Sacchi, Alberto Zaccheroni e Carlo Ancelotti. Stefano Pioli, parmigiano doc, spera di unirsi presto alla compagnia. Il primato in classifica della sua squadra, in fondo, non è che l’ultima puntata di una serie ormai decennale.

La storia comincia nel 1987. Il muro di Berlino è ancora in piedi, così come le ideologie, impastate di sogni e dogmi. Il sole della rivoluzione sorge a est. D’altra parte, l’eresia collettivista dei maestri olandesi non può che attecchire in Romagna, patria di mangiapreti e socialisti. Visionari. Come Sacchi, che la via Emilia l’ha percorsa di slancio, da Rimini a Parma. E poi oltre fino a Milano, dove ora il profeta di Fusignano predica furore e dominio. Lo spartito è scritto: pressing da tortura psicologica, squadra corta, difesa altissima. Ossessione. Undici calciatori che si muovono in sincronia come un unico e complesso organismo. Lo spettacolo è abbacinante, le vittorie si susseguono. Lo scudetto del primo anno apre la strada a due Coppe dei Campioni.

Tra i protagonisti di quelle stagioni c’è Ancelotti, autentico luogotenente di Sacchi in campo. Due lustri dopo, appesi gli scarpini al chiodo, è proprio Carletto a sedersi sulla panchina del Milan. È l’altra faccia di una regione capace di far convivere meravigliosamente gli opposti, di sciogliere le contraddizioni in un bicchiere di vino. Allo sguardo febbrile di Arrigo fa da contraltare il sorriso bonario di Carletto da Reggiolo. L’allievo apprezza il maestro, studia la sua musica, infine la riarrangia: dal rock ‘n’ roll di Gullit e Rijkaard si passa al jazz di Pirlo, Seedorf e Rui Costa. Si balla comunque che è un piacere. In Italia, in Europa, nel mondo.

L’impresa oltreconfine non riesce, invece, a un altro figlio dell’Emilia Romagna, Alberto Zaccheroni da Cesenatico. Un altro eretico. Sulle lavagne di Milanello appare per la prima volta dopo tanto tempo la famigerata difesa a tre, tranello linguistico che maschera quasi sempre una trincea di cinque uomini a difesa della porta. Costacurta, già oltre i trent’anni, ringrazia; Silvio Berlusconi, che del 4-3-1-2 ha fatto un diktat aziendale, un po' meno. Il periodo di Zac è un interregno tra due ere imperiali. La squadra del 1998-’99 non è più il Milan degli Invincibili di Capello e non ancora quello dei Meravigliosi ancelottiani. Più prosaicamente, sulle fasce spingono Guly ed Helveg, mentre gli ‘anfibi’ di Oliver Bierhoff calpestano le zolle su cui ha danzato il Cigno di Utrecht. Tanto basta, tuttavia, per cucire sulla casacca rossonera il sedicesimo scudetto.

Un traguardo, il tricolore, che il Diavolo non raggiunge da dieci anni. Dieci anni trascorsi a vagare nella nebbia, ad affidare la guida alle vecchie glorie o alla nouvelle vague della Serie A. Prima di ritrovarsi, ancora una volta, sulla via Emilia.