Le sorelle guerriere. Tramontano e Cecchettin unite dalla stessa battaglia: "Ergastolo agli assassini"

Elena scrive a Chiara: "La mia solidarietà, basta giustificare gli uomini violenti". Dopo i delitti le due ragazze sono diventate icone della rivolta anti femminicidi

Elena Cecchettin con la sorella Giulia

Elena Cecchettin con la sorella Giulia

Roma, 20 gennaio 2024 – Prima Elena e ora Chiara, le sorelle. Un po’ veggenti, lucide come avvocati e più determinate di un inquisitore. Disperate ma con la schiena dritta dentro un amore ancestrale che andrebbe riconsiderato. Le sorelle. La parte che resta di Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, perse in una ferocia parallela nella scia delle donne uccise da un uomo che diceva di amarle. Hanno sospettato, temuto, capito prima. Sono state travolte da una perdita irreparabile ma non hanno ceduto allo strazio e se il prezzo da pagare è diventare protagoniste della storia, corrono il rischio. Chiedono giustizia senza eufemismi. Il rogo, l’ergastolo. Vibrano sulle stesse frequenze e s’incontrano.

Dopo la prima udienza del processo in cui Alessandro Impagnatiello è accusato di avere ammazzato la compagna incinta di 29 anni, Elena Cecchettin chiude il cerchio su Instagram: "La narrativa della violenza di genere deve cambiare. Solidarietà alla famiglia di Giulia Tramontano". Sorelle anche fra di loro, su gradini diversi dei vent’anni e già fieramente donne. "Io non starò mai zitta" prometteva. E infatti torna a prendersela con tutti, anche con la stampa: "Immaginate di essere i parenti di una vittima di femminicidio – scrive –. E di vedere ogni giornale dedicare articoli e prime pagine alle lacrime e al taglio di capelli del femminicida. In più: metà di questi giornali chiamerà il fatto omicidio, non femminicidio. E molti titoli non citeranno il nome di Giulia Tramontano, ma solo di chi l’ha ammazzata". Sulla stessa lunghezza e sempre sui social, Chiara Tramontano posta l’editoriale in cui Massimo Gramellini ricorda che il coccodrillo non piange per la sua vittima ma per la fatica della digestione. E si indigna di fronte all’ipotesi del blackout di una notte: "La tua crudeltà e disumanità si sono protratte per sei mesi in cui hai avvelenato mia sorella e mio nipote premeditandone la morte. Puoi averlo dimenticato tu o i tuoi consiglieri, non io".

Era stata la prima a lanciare l’appello per rintracciare Giulia dopo la sua scomparsa. Giovedì ha lasciato l’aula perché restare era troppo pesante, anche se ha cercato a lungo di agganciare lo sguardo dell’ex barman. Lui a testa bassa come un bambino che ha rotto un vaso, lui che chiede scusa. Non mi guardi? E io lo scrivo perché sentano tutti: "Puoi chiedere scusa se per errore hai urtato lo specchietto della mia auto. Non puoi chiedere scusa se hai avvelenato e ucciso mia sorella e mio nipote, prendendoci in giro e deridendo la sua figura. Meriti di svegliarti ogni giorno in galera ripensando a ciò che hai fatto e provando ribrezzo per te stesso".

Il topicida distillato per mesi, altro che reazione spontanea e spropositata. Diceva di essere intrisa solo dall’amore, non voleva che l’odio avvelenasse anche lei. Ma una sorella corre anche questo rischio nel tentativo di alleviare il senso di sconfitta: "Le famiglie che vivono l’ergastolo del dolore hanno diritto a giustizia e pena esemplare". Restano una lapide, un bimbo mai nato, la prospettiva di non essere mai più in cinque a tavola. Ed è sempre la stessa tragedia, dove l’omicida si scopre bravo ragazzo e chiede perdono. Nei giorni interminabili dell’attesa Elena Cecchettin si rivolgeva a tutte le sorelle del mondo: "Se non vi sentite sicure, chiedete aiuto. Non è colpa vostra". Pregava di non stare mai zitti: "Un minuto di silenzio per Giulia non è necessario. Bisogna trasformare questa cosa in un esempio, dobbiamo proteggere le ragazze del presente e del futuro". Le sorelle ci provano da una condizione ingrata, passandosi il testimone e il megafono.