Il cardinale Menichelli: “Cara Ancona, apriti e impara ad amarti”

Abbiamo incontrato Monsignore nella sua casa a pochi giorni dalla fine di un mandato lungo 13 anni

Il capo cronista Andrea Brusa ha intervistato monisgnor Menichelli (Foto Antic)

Il capo cronista Andrea Brusa ha intervistato monisgnor Menichelli (Foto Antic)

Ancona, 21 settembre 2017 - Cardinale Menichelli, sono passati 13 anni, ma sembra l’altro giorno che faceva il suo ingresso nella nostra diocesi. Ha un ricordo particolare di quel giorno?

«Ho diversi ricordi, ma prima di tutti quello di una storia nuova che comincia in una realtà che non conoscevo sufficientemente. I ventisei anni a Roma e i dieci anni in Abruzzo mi avevano allontanato dalla conoscenza delle Marche. Il ricordo è dunque legato a questo senso di sorpresa verso una realtà che conoscevo poco. Mi ricordo della difficoltà spirituale e umana. Ricordo la tappa di Loreto, di Numana, i Salesiani e la salita al Duomo, ricordo che nel tragitto incontrammo una situazione curiosa, un’auto ferma, una coppia che litigava. Ci fermammo un secondo e loro ritrovarono un minimo di serenità: mi sembrò una consegna spirituale. Ma ricordo anche quando andavo a trovare mia sorella al Birarelli, a quando percorrevo queste strade, erano gli anni Cinquanta. Le ho ripercorse da vescovo. Ci ho visto dietro uno strano disegno, ho sempre guardato questo stabile abbandonato con una certa riverenza».

Ha sempre stupito il suo parlare a braccio. E’ un modo per arrivare più diretto al cuore delle persone?

«Non ho mai pensato quale fosse la ragione, faccio più fatica a scrivere che non a parlare. Mentre parlo ho la grazia che mi fa venire pensieri e idee. Poi sì, in me c’è una sorta di immediatezza, mi sento di essere portatore di una facile relazione. Sono abituato a non guardare le persone attraverso le barriere, è una educazione che ho ricevuto. Normalità, semplicità».

A proposito, lei è anche il cardinale con la Panda, pochi optional e guida sportiva senza autista…

«Non ho avuto mai auto grandi. Principalmente per un fattore economico, ma anche per un timbro educativo che ho ricevuto dalla mia famiglia. La mia era una generazione partorita nella povertà, vissuta poi amando non ciò che sarebbe stato desiderio ma ciò che era necessità. Quando un tempo in virtù della gratitudine mi diedero 500mila lire e mi dissero che servivano per comprare l’auto, quella spesa è diventata un senso di responsabilità. Poi, certo, capisco che andare a Roma con un’auto più grossa è un’altra cosa, ma è sempre uno strumento. Il benessere, un certo benessere, ci ha cambiato i connotati, ci siamo definiti per il simbolo del possesso».

Che Diocesi lascia?

«Non faccio fatica a rispondere. E’ difficile fare una sommatoria di tutto ciò che ho vissuto, che ho trovato e che lascio qui, posso solo dire che anche questa è casa di Dio spirituale fatta di persone. Qui è entrata una visione di chiesa più serena, più libera. Ho visto crescere la sensibilità dell’accoglienza con tutte le difficoltà dei tempi, una comunità aperta alla parola di Dio. Una diocesi che ha tante potenzialità e che nel suo insieme è molto variegata: sono arrivati gli ortodossi, i fratelli musulmani. Questo impone una chiesa dialogante, aperta, non chiusa, nessuna chiesa è il ‘club dei perfetti’. Il pensiero di Cristo è di misurarci con la realtà, come del resto devono fare le stesse Marche».

Guardandosi indietro, ha un rammarico? Anche i cardinali possono averne...

«Uno cerca di fare il meglio, ma non ho rammarichi. Non mi sono mai tirato indietro da nulla e ho cercato di accogliere sempre tutti. Ho ricevuto almeno dieci persone al giorno, è stato un dialogo di grande respiro, ho avuto rapporti con le istituzioni. Ho dato tutto quello che potevo dare».

Se dico giovani e laici al centro del suo mandato, sbaglio?

«No, perché ho cercato di dialogare molto, gli inviti li ho accolti tutti. Sono molto lieto che si sia strutturata una tradizione: il vescovo che a Natale va in Comune, va alle Poste, all’ospedale. Sono profondamente convinto che a tutti noi manca la laicità, siamo diventati troppo confessionali, troppo ideologici e tutto questo imprigiona. La laicità è una cosa che ti permette di dialogare, non mi invento nulla. La Bibbia è il libro più laico, Gesù ha dialogato con i poveri, con i ricchi, con i religiosi, con i ladri, con le prostitute e non ha condannato nessuno e questo è strepitoso. Quando mai noi facciamo così? Le appartenenze politiche ci hanno incatenato».

Quali sono i mali della nostra società?

«La nostra è una società vecchia che non ha curato le speranze, abbiamo dei ragazzi pieni di cose ma carichi di una solitudine che li asfissia e il brutto è che la società non si rende conto di questo. L’uomo partorisce le cose più brutte quando è solo, i giovani bisogna accompagnarli, avrei potuto fare di più, ma bisogna tenere conto della realtà. Quando ero a Chieti, a Vasto facevamo la festa della gioventù fino alle 11 di sera, qui invece già dalle otto non c’è più nessuno».

Quanti giovani ha incontrato in questi anni?

«Solo qui ne sono venuti almeno settecento. Ricordo con affetto questo ragazzo che mi abbracciò e mi rivelò : ‘Queste cose non me le ha dette mai nessuno’, affermò riferendosi ad un discorso che feci. Ripensandoci dissi cose normali. Il problema è che siamo tutti dei venduti e invece dobbiamo costruire la nostra identità. Questo mondo giovanile va stimolato, ma dal canto loro non possono stare sul balcone a lamentarsi. Il problema è che se non li stimoli diventano pensionati anzitempo. I giovani vanno conosciuti, accompagnati e amati».

Qual è il suo messaggio ai giovani?

«Non fatevi derubare della vita, non affittate la vita agli ideologi del mercato, dell’esuberanza. Oggi c’è in giro questa tentazione, il ragazzo è fragile, è debole, tanto più quando in famiglia ha una solitudine forte».

Ancona è cuore della sua Diocesi, si dice ‘città difficile’, è così?

«Non è difficile, ha una sua tipicità, e talvolta questa sua tipicità non consente a chi ci abita di far brillare questa roba qua. E’ una città di mare, dovrebbe essere aperta e invece… Abbiamo fatto il Congresso eucaristico e in quella settimana hanno circolato 500mila persone e mi meravigliò molto che qualcuno si era accorto con molto ritardo della presenza di tanti giovani. La città, e non mi riferisco solo ad Ancona, deve essere amata per essere ben vissuta, dobbiamo attivarci per lei, se non si capisce questo sorge la disaffezione».

Accoglienza, il tema dell’immigrazione sta provocando spaccature...

«L’uomo è tale se capisce di essere in una relazione. Non c’è una parte dell’umanità che il buon Dio privilegia. Il creato è per tutti e se abbiamo un minimo di conoscenza storica la migrazione c’è stata sempre. Mezza Italia è figlia di barbari. Si tratta di rendersi conto della dignità di una persona, della dignità storica, farsi un esame su chi aizza le guerre e poi tirare le conclusioni. Dobbiamo toglierci da questa prigionia».

Cardinale, non le va un po’ stretta questa pensione?

«Questo è il tempo della vita, è nella logica. Per me finisce un servizio pastorale diretto, dall’altra parte rimango sempre vescovo, rimango collaboratore del Papa. E’ tempo di trovare un’armonia nuova».

Papa Francesco cosa le ha detto?

«Incoraggia il bene, oggi la pastorale sta nella vicinanza, più sei vicino e più sei pastore. Dobbiamo reinventare il dottorato della normalità. Voi giornalisti siete un coefficiente necessario, scrivete da liberi».

Il suo regalo alla città è la statua di Papa Wojtyla…

«Ha preso la chiesa per mano e l’ha fatta navigare in mari difficili, è stato un grande uomo libero, non mi è difficile prenderlo a modello».

Con Papa Bergoglio avete in comune anche la passione per il calcio. Giusto?

«Più che un appassionato, seguo il calcio ogni tanto».

Si dice che lei sia juventino, è sbagliato?

«Ho sempre detto che ero solidale con una squadra bianconera, ma ce ne sono tante (sorride, ndr)».

C’è qualcosa che le sta particolarmente a cuore ma che non è mai riuscito a fare in questi anni e che invece le piacerebbe fare in pensione?

«Vorrei adorare di più il creato e vedere in lui la casa di ogni uomo. Il mistero del creato mi stuzzica molto, spero che il buon Dio mi dia questa possibilità».

Tornerà a San Severino?

«Andrò in un santuario e spero di avere giorni di serenità».

Il suo messaggio alla città prima dei saluti di domenica?

«Ritrovare la grazia di sapersi fratelli che non vuole dire ‘sto insieme a…’, oppure ‘ho fatto un’esperienza di…’. Vorrei che la fraternità diventasse un impegno, la vera dignità del tempo che ci è dato».

Ha collaborato Maria Gloria Frattagli