MICHELE MANZOTTI
Bologna

Ian Anderson al Manzoni, ecco chi era Jethro Tull

Il leader storico della band al Manzoni con un’opera rock che celebra la vita dell’agronomo inglese che li ispirò nel 1968. Proiettandolo però nel futuro con video ed effetti speciali

La locandina di Jethro Tull, the rock opera

La locandina di Jethro Tull, the rock opera

Bologna, 29 novembre 2015 - Alzi la mano chi almeno una volta non lo ha confuso con Jethro Tull. Perché se è vero che Ian Anderson ha impersonato i Jethro Tull di cui è stato fondatore e leader, in molti hanno pensato che al volto del cantante e flautista corrispondesse il nome dato al gruppo rock. Invece questo nome appartiene a un personaggio del passato, un inventore. Jethro Tull, a Rock Opera è il titolo dello spettacolo che Ian Anderson e i suoi musicisti porteranno sul palco dell’Auditorium Manzoni domenica 29 novembre.

«Non è un’opera rock vera e propria _ spiega Anderson _. Non voglio dare l’impressione con la parola “opera” di far pensare a donne che cantano con voci improponibili o a uomini con make up assurdi. Però c’è una struttura narrativa, ci sono dei recitativi e delle parti parlate per raccontare una vicenda, quella del signor Jethro Tull, che nel secolo XVIII inventò la trebbiatrice. Ecco, più che un’opera, è una storia. Con tanto di parte visiva e ospiti virtuali».

L’attenzione verso la campagna è stata una costante di alcune sue produzioni, penso ad album come Songs from The Wood e Heavy Horses. Ci saranno brani tratti da questi dischi?

«Sì, anche se invito tutti ad andare sul sito www.jethrotull.com per i dettagli. Cito comunque pezzi come Farm on The Freeway o la stessa Heavy Horses perché ho pensato di cambiare e di aggiungere nuovi versi. Il motivo è la trasposizione della storia di Jethro Tull al giorno d’oggi e quindi a un modo diverso di pensare il rapporto tra uomo e terra».

Ha previsto anche canzoni inedite?

«Sono in tutto cinque: si parla di genetica, clonazione, ambiente, cibo modificato. Tutti temi attuali che portano Jethro Tull a proiettare le sue invenzioni nel futuro».

Presente e futuro non sembrano essere molto rosei dopo i fatti di Parigi. Lei nel 1978 incise un brano dal titolo Dark Ages (tempi difficili, cupi) parlando della politica di quegli anni. Dobbiamo aspettarci altre età difficili in Occidente?

«Secondo me ci sono tre cose da fare. La prima è quella di continuare a lavorare come sempre, business as usual, di prendere aerei, navi, treni, bus, di andare ai concerti. Insomma di fare la vita di tutti i giorni per non darla vinta ai terroristi. Poi va fatto di tutto per contenere questo fenomeno, perché ovviamente non si può giustificare chi ammazza, violenta e tortura persone. Quindi se fosse necessaria anche l’opzione militare questa è inevitabile».

E la terza iniziativa?

«E’ quella più importante: quella di educare le persone al rispetto per gli altri. Bisogna parlare con tutti, far capire che non è certo attraente uccidere o riportare la civiltà indietro nel tempo. Solo così le probabilità di adesioni al terrorismo possono diminuire. Perché ieri è successo a Parigi, domani potrebbero essere prese di mira Londra, Manchester o Milano. Spesso si riesce a prevenire fatti gravi, ma non si può essere sempre fortunati».

Ha nominato Londra, come è la situazione a parer suo?

«Alla fine è una città ragionevolmente pulita, ragionevolmente ben organizzata, ragionevolmente multiculturale. Tanto che dalla stazione della metropolitana a casa sento parlare tutte le lingue tranne la nostra. Le dico una battuta: vado in taxi e l’autista mi chiede dove andare. “Da nessuna parte, volevo solo parlare un po’ in inglese”. A parte questo non ci si può lamentare e a chi lo fa dico che è un ottimo posto dove vivere».

Lei però è nato in Scozia, cosa ha pensato lo scorso anno prima del referendum per l’indipendenza?

«Non solo ci sono nato, ma ho avuto anche attività imprenditoriali. Eppure voto nel sud dell’Inghilterra dove vivo. Anche se comprendo alcune istanze degli indipendentisti non ho capito perché potessero votare anche i sedicenni o persone di altre nazionalità che comunque vivono là e pagano le tasse locali. Mi sembra che si siano forzate le regole, così come ora sta succedendo in Catalogna per staccarsi dalla Spagna. Però mi auguro che la Scozia possa raggiungere le sue aspirazioni».

Le tematiche dei suoni brani ci hanno fatto parlare di attualità e politica...

«Nelle canzoni che ho scritto da poco parlo della possibilità di un capitalismo etico, che non pensi solo al profitto. Ecco, mi considero un capitalista etico, o se qualcuno preferisce un socialista pragmatico».

Allora, dita incrociate per i concerti italiani!

«Grazie, ma non ne ho bisogno; dal punto di vista artistico con l’Italia è sempre andata bene».

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