Delinquenti e affini, prima la punizione poi la rieducazione

La lettera

Bologna, 17 novembre 2017 - Secondo l’art. 27 della Costituzione, ‘le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. Ma il divieto di dimora o i domiciliari tendono a rieducare chi picchia i vecchietti di una casa di riposo o i bambini di una scuola. La rieducazione del reo è un obbiettivo legittimo ma occorre trovare altre strade Francesco Galletti, Bologna

risponde Beppe Boni, vicedirettore de Il Resto del Carlino

Nessuno mette in discussione che una possibilità di riscatto della propria vita va data a chi entra in carcere. Il concetto però va modulato sulla gravità dei reati e sulla reiterazione delle azioni compiute. Alle vittime, vive o morte che siano, la seconda chance non viene per forza di cose mai offerta. Chi ha subito soffre e basta. Ma la Giustizia spesso ha le maglie troppo larghe. La cronaca offre una casistica sconfinata, quindi significa che il meccanismo da qualche parte fa acqua. Un esempio. Giorni fa un 46enne di Senigallia (Ancona) viene arrestato per minacce ad una ragazza di 20 anni che lo rifiuta. «Ti ucciderò e ti mangerò il cuore», le scrive nei messaggi. Mesi prima l’uomo era uscito di galera dove ha trascorso 8 anni per aver strangolato la moglie. Era stato condannato a 16 anni, ma una volta «rieducato» gliene hanno scontati la metà. Ed è uscito.  beppe.boni@ilcarlino.net

 

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