Trasmettiamo ai più giovani l'eredità intellettuale di Marco Biagi

Bologna, 11 marzo 2017 - Il 19 marzo 2002, dopo le otto di sera, Marco Biagi è rimasto vittima dell’agguato teso dalle Brigate Rosse. Era solo, indifeso, senza scorta, nonostante i ripetuti messaggi, un obiettivo sin troppo facile da colpire. Stava per entrare in casa dove la famiglia lo attendeva per la cena dopo una giornata di lavoro. Pochi anni prima identica, tragica sorte era stata riservata a Massimo D’Antona, illustre giuslavorista colpevole, come Marco, di aver posto le sue migliori energie intellettuali al servizio del Paese, per rifondare e migliorare il diritto del lavoro e le tutele a favore dei lavoratori.

Il dolore per questa scomparsa così violenta ed ingiusta non può essere lenito dal tempo che trascorre: la famiglia, gli amici più stretti di Marco, i suoi collaboratori all’Università di Modena non possono dimenticare un evento così tragico che li ha privati del marito, del padre, del fratello e del proprio Maestro di vita e di lavoro. Ma il tempo passa e le nuove generazioni, quando si è consumato il tragico evento, frequentavano la scuola materna. Le persone anziane ricordano quell’epoca drammatica che ha caratterizzato la vita del nostro Paese: sono gli anni di “piombo”, non quelli dell’amore e della fraternità.

Ma i più giovani ed i giovanissimi fanno fatica a ricordare. Si rischia di perdere così la parte più importante del ricordo: l’eredità intellettuale e morale che Marco ha lasciato non solo alle persone care, a lui più vicine, ma a tutti noi, giovani, meno giovani, non importa. L’errore più grave sarebbe quello di pensare che una tragedia così terribile non si potrà ripetere e che Marco è morto inutilmente, vittima della follia di un manipolo che immaginava così di uccidere le idee, di fermare il processo di modernizzazione del diritto del lavoro, la crescita morale e materiale del nostro Paese. Non è così: ricordiamo Marco non solo per il tragico destino che lo ha colpito, ma perché la sua morte non deve apparire un inutile sacrificio. Affinché ciò non accada, occorre promuovere la conoscenza del pensiero di Marco, attraverso una rilettura ed analisi, occorrendo anche critica, delle sue opere, dai saggi monografici sino agli interventi sulle Riviste del settore o sui quotidiani economici. Solo all’esito di tale indagine, si potrà comprendere qual era il progetto “riformista” pensato e voluto da Marco, con l’intento di allineare il diritto italiano a quello comunitario e di avviare così un autentico processo di rifondazione del diritto del lavoro.

Quante volte è capitato di chiederci quale sarebbe stata l’opinione di Marco in merito alla riforma Fornero e quale rispetto al cosiddetto Jobs Act? La risposta non è affatto scontata, né appare corretto trarre delle conclusioni che si suppone Marco avrebbe condiviso. Il rigore scientifico non può fondarsi su supposizioni o interpretazioni che non tengono comunque conto sia del tempo passato, sia del diverso contesto storico, socio-economico nel quale Marco ha operato. Per altro verso si deve evitare di cedere alla tentazione di circoscrivere entro predeterminati confini temporali il pensiero di Marco. Una delle caratteristiche e doti di Marco quale ricercatore era quella di anticipare i tempi delle riforme, di giuocare, come si suol dire, di anticipo. Marco era fatto così: non si preoccupava del consenso, se era convinto della giustezza delle sue idee e della necessità di porre in sintonia l’ordinamento giuslavoristico italiano con il diritto dell’Unione, modernizzando un sistema che aveva bisogno di un restyling non solo formale.

Del resto, lo stesso Marco in un articolo scritto pochi giorni prima della sua morte, ebbe a confessare a sé stesso, con una punta di auto-ironia, di essere consapevole di aver superato con la sua navicella le Colonne d’Ercole per affrontare l’ignoto. Si spiega così, nonostante il trascorrere del tempo, l’attualità del suo pensiero e la necessità di confrontarsi ogni qual volta viene varata una riforma nel settore giuslavoristico. Queste sono le ragioni, pur se non sono le uniche, per le quali l’eredità di Marco va preservata e diffusa oltre che realizzata. Sarebbe questa la migliore risposta al folle gesto dei brigatisti rossi, consumatosi quindici anni fa, in una dolce serata di primavera.  

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