Bologna, 29 maggio 2012 - CI VOLEVA un aspirante filosofo (che ha abbandonato gli studi prima della laurea) per credere nelle sorti magnifiche e progressive di una chimica italiana in via di ridimensionamento dai fasti passati, quando nacquero colossi come Montedison e Snia. Ma se c’è qualcuno in grado di rendere redditizi polimeri, cloruri e detergenti, quello è Francesco Bertolini, che insieme al fratello guida l’omonima azienda. Da poco, ha rilevato gli stabilimenti della Snia, facendo diventare Bologna capitale della chimica italiana e portando il fatturato del suo gruppo a ridosso dei trecento milioni di euro. Infatti, attraverso il gruppo Caffaro, che controlla al 50 per cento, la Bertolini sta facendo rinascere il polo chimico di Torviscosa, in Friuli Venezia Giulia, attraverso un’opera di bonifica e riconversione del sito industriale. Francesco Bertolini viene da una famiglia di possidenti terrieri che nei primi decenni del Novecento passò dall’agricoltura alla gestione di uno zuccherificio, finché, nel 1955, suo padre fondò l’attuale azienda, nel settore chimico. Non nasconde le agevolazioni legate al fatto di essere un figlio d’arte (guarda il video).
 

Bertolini, lei è partito con parecchi metri di vantaggio.
«Nessuno lo nega. Mio padre ci ha lasciato in eredità spalle molto larghe».
Che lei ha sfruttato bene.
«Sì, ma il privilegio iniziale rimane. A 21 anni mi presentai in banca perché volevo comprare una nave di soda. Prima mi diedero il via, poi aggiunsero: se la prossima volta, magari, ci mette una firma anche suo padre, è meglio. Impensabile, oggi».
Quando entrò in azienda?
«Nel 1976. Dopo una decina d’anni papà mi disse: io ho già fatto abbastanza, adesso vai avanti da solo».
Un’investitura.
«Allora era più facile. Nel nostro settore si facevano ottimi guadagni. Bastava mantenere buone relazioni con i gestori della chimica, Montedison, Snia».
Quando è diventato tutto più difficile?
«Alla fine degli anni Novanta. La chimica in Italia era praticamente sparita, e servivano basi all’estero».
Perché all’estero?
«Perché i fornitori sono i paesi dove si produce petrolio. Ma l’estero comporta scelte complicate e molti rischi».
Rischi?
«Rischi finanziari, necessità di versare anticipi, rischi valutari».
Quindi vi siete buttati sui paesi in via di sviluppo?
«E’ stata una maturazione più lenta. Negli anni Novanta abbiamo comprato dai paesi del Far East. Poi, dal 2000 ci abbiamo aggiunto la produzione».
Insomma, delocalizzazione.
«Non necessariamente. Due anni fa abbiamo rilevato gli stabilimenti della Snia a Torviscosa per produrre in Italia cloroderivati che esportiamo in Cina e India».
E’ conveniente?
«Il cloro si estrae dal sale ed è meglio accorciare la catena tra la materia prima e il derivato. Poi a Torviscosa gli impianti sono vicini a una centrale e quindi costa meno anche l’energia».
Costi competitivi ed esportazione è la vostra formula vincente?
«Siamo bravi anche a distribuire i prodotti degli altri. Perché le aziende estere non vogliono prendersi rischi in Italia. Perciò vengono da noi, incassano e ci delegano la distribuzione»
Per voi la crisi è un’opportunità.
«La situazione è difficile dappertutto, non solo in Italia. E’ in atto un’ulteriore selezione tra le aziende. Va avanti solo chi ha basi solide, e noi le abbiamo».
Più delle idee conta il denaro.
«Contano entrambe, ma senza soldi le buone idee non bastano. Rispetto al 2009 le cose sono peggiorate perché almeno tre anni fa il denaro costava poco. Oggi costa molto e anche se presenti montagne di garanzie le banche non ti concedono i prestiti».
E allora che si fa?
«Si impara a convivere con la crisi, si risparmia e si limano i costi».
Però voi avete anche investito.
«Sì, perché secondo me bisogna investire nei momenti di crisi, non in quelli del boom. Fra tre anni gli impianti di Torviscosa saranno pronti e se ci sarà una ripresa potremo intercettarla».

di MARCO GIRELLA