Bologna, 10 marzo 2014 - UFFICI cablatissimi, aperti giorno e notte, 7 giorni su 7. Sei un ingegnere e hai bisogno di un architetto o di un comunicatore? Te lo trovi accanto. Ecco cos’è il coworking, condivisione di spazi e quindi di idee. Professionisti che lavorano insieme. Non solo per risparmiare. Bologna capitale regionale. Cominciò la Pillola, oggi i ‘pensatoi’ sono una decina. Filoni privilegiati, ambiente e web. Dai creativi 30enni ai 40-50enni che mollano il posto fisso e si mettono in proprio. Scrivanie in affitto per 200-250 euro al mese. E ci credono anche le grandi aziende. È appena sbarcato in città Working capital, acceleratore di Telecom.

A Kilowatt ti badano anche il pupo

COMPAGNI di scrivania e di vita. Cominci a condividere un progetto, «va a finire che si passano le vacanze insieme». Stefano Follador, 35 anni, è il manager di Kilowatt, coworking bolognese che ha aperto 2 anni fa nella città universitaria e si è appena trasformato in una cooperativa (promossa a startup innovativa da un bando Unipolis). Il manager, chiarisce, non è un capo, «fa scouting di opportunità di mercato, facilita le relazioni». Kilowatt è un pensatoio di creativi trentenni, scrivanie, sala riunioni e cucina, perché le idee vengono anche pranzando insieme. Ingegneri, architetti, comunicatori. Tra gli ultimi progetti battezzati, S-cambia cibo, il frigo di strada, contro lo spreco alimentare. In partenza ‘kW-Baby’, «mamme e papà liberi professionisti potranno portarsi dietro i figlioletti. Un’educatrice se ne prenderà cura». Va a finire che nell’ufficio senza orario si trascorre un bel pezzo di vita.

«So-up, ecco l’infermiere di strada»

GIUSEPPE Sanmartini ha 43 anni, mai avuto un padrone. Dante Bariselli ne ha 46 e vendeva capsule di caffè. Oggi si occupano di telefonia, e-commerce, welfare (il video). Lavorano insieme nel coworking So-up, c’entra l’inglese ma anche «la zuppa in dialetto», come suggerisce Vito Magliaro, 50 anni, il padrone di casa. Una scrivania in affitto costa 250 euro al mese più Iva, «nel conto sono compresi tutti i servizi, dalle stampanti al caffè — spiega —. Il coworking non è più una nicchia ma un modo di lavorare in espansione. Garantisce flessibilità. D’agosto volevo chiudere poi mi sono arrivati degli americani. Gente a tutte le ore». Qui gli spazi sono divisi in modo più tradizionale, gli uffici separati. Dieci postazioni da affittare, le altre fisse. Tra i progetti in partenza, l’infermiere di strada. «Il principio è lo stesso dei reparti ospedalieri — chiosa Sanmartini —. Il professionista garantisce una serie di interventi concentrati nelle stesse vie. E così una prestazione base costa solo 5 <SC171,45>».

«Uno stormo, leader è chi ne sa di più»

«È IL PRINCIPIO dello stormo flessibile. Il leader, di volta in volta, è chi ne sa di più». Michele D’Alena, 38 anni, veneto naturalizzato bolognese (video), lavora nel social media team del Comune di Bologna, vuol dire il gruppo che sta ristrutturando la rete Iperbole. Stratega del web e grande sostenitore del coworking. Che spiega così: «Professionisti, partite Iva, microimprese o associazioni che condividono spazi per risparmiare, avere accesso a wifi, stampanti, cucina in comune o sala riunioni. Ma è soprattutto un modo per condividere un approccio al lavoro. Hai un progetto? Invece di cercare un partner esterno, lo trovi a pranzo nel tuo coworking». C’è l’idea di fare da soli senza aspettare che la politica apparecchi. «Fenomeno sicuramente positivo, vuol dire rimboccarsi le maniche», il punto di vista di Anna Morelli della Cisl bolognese. Anche se per ora il coworking sfugge a statistiche e sindacato.

«Da qui la prima ricerca nazionale»

ELISA Badiali, bolognese (video), dottoranda del Ces.co.com di Sociologia, sta girando l’Italia con videocamera e taccuino per costruire una mappa ragionata dei coworking. «È la prima indagine nazionale», chiarisce. Il punto di partenza: «Volevamo capire i segnali di risposta dei giovani alla crisi, misurare la capacità di aspirazione». La ricerca — finanziata dalla fondazione Ivano Barberini, condotta con i colleghi Umberto Mezzacapo e Lucia Marciante, sotto la supervisione di Roberta Paltrinieri, direttrice del centro —, da nord a sud mette a fuoco una trentina di incubatori, «che non sono solo spazio condiviso ma un modo diverso di fare impresa». L’identikit finale: «Il coworker ha tra i 25 e i 45 anni, spesso una laurea, sempre apertura mentale e propensione al rischio. Tra le motivazioni: risparmiare, non avere un padrone, uscire dall’isolamento del free lance che lavora in casa».

Rita Bartolomei