Bologna dice addio a Giorgio Guazzaloca

L'ex sindaco aveva 73 anni, sconfisse nel 1999 il 'Partitone'

Giorgio Guazzaloca, l'ex sindaco di Bologna è morto a 73 anni (foto Schicchi)

Giorgio Guazzaloca, l'ex sindaco di Bologna è morto a 73 anni (foto Schicchi)

Bologna, 27 aprile 2017 - Quando finisci in prima pagina anche sull’Asahi Shinbun, beh qualcosa di interessante devi avere combinato. Soprattutto se la notizia rimbalza su un giornale giapponese da milioni di copie dalla lontana Bologna. E Giorgio Guazzaloca, alla fine di giugno del 1999, una piccola grande pagina di storia in effetti l’aveva scritta, tanto da meritare una straordinaria vetrina internazionale: con una spallata di poche migliaia di voti aveva abbattuto il Muro di Bologna, primo sindaco non comunista, o post comunista, nella città rossa che più rossa non si poteva. E non si può. Guazza, il macellaio, la punta di diamante della stagione dei ‘civici’, i non politici scelti per governare le città, e non solo, dopo Tangentopoli e il tracollo dei partiti. Aveva cominciato Marco Formentini a Milano nel 1993, e in pratica non ci siamo più fermati.

Ma Guazzaloca è stato un’altra cosa. Forse perché civico non lo era affatto. Mente politica sottile, straordinaria capacità di relazioni. Amico di tutti, ma al servizio di nessuno. Prodi, Casini, ciò che restava dei partiti laici e risorgimentali. Raccogliendo sempre e comunque stima anche nel campo della sinistra. Come la vogliamo chiamare se non capacità politica? Non quella delle chiacchiere, ma del fare, del produrre, delle associazioni: commercianti locali e nazionali, Camera di Commercio, e poi il salto a primo cittadino. Lo volevano tutti come candidato. A sinistra come a destra. Lui, ovviamente, scelse Guazzaloca. E in quella primavera di fine secolo tutti i tasselli andarono al loro posto. Un Ds logorato, la mancata alleanza con la sinistra più estrema, una candidata, Silvia Bartolini (la prima donna messa in pista dall’ex Pci), che da sola non poteva turare tutte le falle di una portaerei sgangherata. Poi lui, il Guazza. All’inizio nessuno gli credeva. Solo Giorgio, carattere aspro, credeva in se stesso. Il centrodestra ci mise parecchio a farne il proprio paladino, e quando lo fece fu sollecitato a non farsi notare. Così, passo dopo passo, una stretta di mano dopo l’altra, una partita a carte in ogni circolo, Guazza arrivò a salire le scale di Palazzo D’Accursio, abbracciato dalla figlia e dalle telecamere, con Piazza Maggiore colma di gente e di entusiasmo.

Voglia di cambiare. Di una città normale, in cui non erano sempre gli stessi a vincere o a perdere. Di facce nuove. L’aveva promesso e lo mantenne. Il vice sindaco Salizzoni, l’assessore Galletti, ora ministro. Gente in gamba. E ci voleva, perché dietro alle urne lo aspettava una malattia cattiva. Dal trionfo al letto di ospedale. Un anno a combattere e a vincere, strappato all’amministrazione della città. Ma nel poco tempo che gli è rimasto per gestire la cosa pubblica, Guazzaloca è stato un buon sindaco. Quella notte la Bologna rossa, e tutto il partitone tremarono: che fine avrebbe fatto il sistema di potere consolidato dal dopoguerra? Posti, voti, soldi. Timori infondati: lui seppe guidare una transizione senza rivoluzione, come solo un politico di razza poteva fare. Seduto al bar d’angolo di Piazza Maggiore officiava la sua messa mattutina da buon padre di famiglia, come in effetti è sempre stato. Peccato che i figli si siamo poi dimostrati figliastri. Nel 2004, Guazzaloca non fece neppure campagna elettorale: pensava che i fatti parlassero da soli per la sua rielezione.

Non aveva fatto i conti con la Bologna rosa in cerca di riscatto, e con quella borghese e opportunista che non vedeva l’ora di tornare a rifugiarsi nei suoi consolidati meccanismi di potere e di affari. Affidandosi ancora prima che si candidasse al fascino di Cofferati, che di Guazzaloca fu mediocre successore. Il resto è il prestigio di una Authority, un tentativo di tornare in campo, pillole di saggezza distillate con eleganza e distacco. Ma sempre all’attenzione generale. E oggi, ne siamo certi, anche l’Ashai Shinbun scriverà: addio Guazza. 

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