Babbi, re delle delizie: "Anche Pertini adorava i Viennesi"

L'intervista della domenica

Giulio Babbi

Giulio Babbi

Cesena, 28 giugno 2015 -  DIFFICILE acchiappare i mille fili delle storie che si dipanano dalla memoria prodigiosa di Giulio Babbi. E’ una rincorsa a perdifiato sul tracciato di una lunga vita (87 anni senza concessioni alla vecchiaia) vissuta con attivismo vorace e un tale fervore di affabulazione che travolge e confonde. Ecco un’intervista fatta di poche domande e mille storie uscite senza possibilità di freno da un ribollente vaso di Pandora. A Giulio Babbi, recentemente e dopo consensi da parte dei grandi dell’Italia e di altri luoghi, è stato attribuito anche il premio Marietta ad Honorem di Casa Artusi.

Giulio, è contento di questo ennesimo riconoscimento?

«Certo, viene dalla mia terra e lo aggiungo alle telefonate di Pertini e di Andreotti quando erano in vita, alla mia amicizia con Bertinotti, agli attori e ai registi famosi che apprezzano i nostri prodotti. E’ tutto merito dei Viennesi, sa?

E’ di lì che è cominciata,appunto, con una ‘creazione’ di suo padre Attilio che nel 1958 ‘sfornò’ i wafer Viennesi. Questa è una storia nota, qual’è la parte che non conosciamo?

«Quella in cui io, che allora avevo 30 anni, andai da Tommaso Panzavolta, che era il numero uno dei commercianti di dolci di Cesena e aveva un negozio in Corso Sozzi (allora Corso Umberto I), a proporgli di commerciarli. Se ne mise in bocca uno e rimase estasiato. Toh senti, disse offrendone uno a sua moglie Tina, la vera anima del negozio. Sono uno spettacolo, disse lei, li prendiamo, dove si producono? In Austria? No, dissi io, li facciamo noi. Voi?! Allora non li voglio, la roba di Cesena non si vende».

Così lei si arrese?

«Macchè partii con la mia Giardinetta alla volta di Milano, che conoscevo molto bene avendo lavorato per qualche anno alla Alemagna, e dopo cinque giorni tornai a casa con 44 ordini dai più rinomati rivenditori e baristi della città. Poi andai a Roma, e anche lì fu un successone».

Come la racconterebbe la sua vita?

«L’ho fatta tutta di corsa. Sono 71 anni che lavoro e la mie giornate le vivo ancora in azienda, faccio tutti i lavori, dal facchino al dirigente. Sono sei anni che non faccio un giorno di ferie».

Eppure lei ha avuto successo, è un uomo fortunato.

«Fortunato?! E i pensieri e i sacrifici dove li mette?».

Cos’è che le ha dato le maggiori soddisfazioni?

«Conquistare un cliente difficile. Ah, la soddisfazione di far cadere i clienti più duri…!».

Ha qualche rimpianto?

«Sì (la voce s’incrina). Quello di non aver potuto dare a mio padre, che aveva solo 21 anni più di me, la soddisfazione di vedere il terzo stabilimento della nostra azienda qui, a Capocolle. Ma ho anche il rimpianto di non aver avuto il tempo per girare il mondo».

Pensa che se suo padre avesse iniziato oggi l’attività di imprenditore avrebbe avuto ugualmente successo?

«Si, lui era uno che si buttava, quando era il caso faceva debiti, affrontava qualunque sacrificio. Io sono più lento, più cauto. Mio padre prima della guerra ha fatto il falegname ed era figlio di un fabbro nato nel 1835 che aveva avuto tre mogli e 38 figli, di cui 15 sopravvissuti. Era il gallo del pollaio, morto a 97 anni in un incidente stradale a Forlì. Io invece sono figlio unico, mia madre ebbe una grave malattia e fu salvata quasi per miracolo da ‘Zambutèn’».

Ha ancora qualche sogno nella sua vita d’imprenditore?

«E quale sogno potrei avere a 87 anni? Magari quello di averne 30 di meno»

Cosa lascia ai suoi figli Pierpaolo, Gianni e Carlo Alberto?

«Un buon marchio, il resto non so. Loro sono laureati, io mi sono fermato al diploma di ragioneria. Sa, mia moglie Valeria, che insieme a me e a mio padre è stata la fondatrice dell’azienda e che ancora è molto attiva in fabbrica, era la mia compagna di scuola. Io le passavo i compiti di inglese e lei quelli di ragioneria, era l’asso della classe in quella materia. Ci siamo conosciuti lì ma la mia famiglia veniva da Taibo».

E i suoi nipoti?

«Ne ho sei e ce n’è già qualcuno che mostra le caratteristiche giuste per condurre la nostra azienda nel futuro».

Qual è tra i suoi prodotti quello che le fa più gola?

«Quando vado di sopra nel reparto gelati non posso fare a meno di prendermi un cono. Ma appena arrivo giù faccio marcia indietro e me ne vado a prendere un altro».