Ferrara, 27 gennaio 2013 - «SIAMO stati deportati nei campi in tre, mio padre, mia madre e io, e in tre siamo tornati: forse l’unica famiglia al mondo ad avere avuto questa fortuna». Colpisce con quanta frequenza Franco Schönheit, ferrarese di religione ebraica, abbia utilizzato la parola ‘fortuna’ ieri davanti ad una platea di studenti del liceo scientifico Roiti, radunata nella mattinata per ascoltare la testimonianza di un sopravvisuto alla tragedia umana e storica della Shoah.


I ragazzi, guidati dai loro docenti e da alcuni esperti, avevano iniziato da tempo a lavorare per preparare la celebrazione della giornata della memoria. Sono partiti dai documenti dell’archivio di Stato per ritrovare i testi, le lettere, le storie dei ferraresi indicati come persone pericolose per la sicurezza dello Stato. Il percorso delle classi, riassumibile nel titolo del lavoro Le carte incontrano i loro protagonisti, è culminato nei racconti del protagonista della mattinata.


«VIVEVO in via Vignatagliata — ha esordito Schönheit —. Le leggi razziali sono state uno shock. I miei genitori minimizzavano per tranquillizzarmi». Prima di lasciare la parola al protagonista dell’incontro, il preside, Donato Selleri, ha invitato le autorità ad un saluto. Presenti il questore Luigi Mauriello, il sindaco Tiziano Tagliani, l’assessore provinciale Patrizia Bianchini, Loretta Vancini e Davide Guarnieri dell’Archivio di Stato. E poi Franco Schönheit con la sua sciarpa rosso sgargiante in piedi davanti alla platea e senza microfono. Parlare gli costa, la sofferenza che si legge nel suo volto tra una domanda e l’altra testimonia l’impotenza del tempo di fronte all’esperienza della deportazione.

 

«Parlare fa male — si giustifica —. L’avevo detto io al presidente Napolitano quando mi esortava a raccontare». «Il giorno in cui ci hanno portati via — racconta —, la mia famiglia e io aspettavamo in casa con le valige pronte in mano. Poi ci hanno caricato sui treni. Era il 15 novembre del ‘43». L’anziano sopravvissuto si concede alle domande curiose dei ragazzi, si lascia scappare qualche battuta (‘Vuoi fare due domande? Ti costerà di più, ragazzo. Non scordarti che noi ebrei siamo famosi per stare attenti ai soldi’). Quando racconta, Schönheit lo fa da vincitore, non da vittima. «Se sono qui — ha ammesso — è perché ho avuto c... tanta fortuna». «Nel viaggio — continua — dal campo di Fossoli a quello di Buchenwald non è stato esattamente un piacere, ma tutto sommato eravamo solo in 23 e le quattro notti passate nel vagone le abbiamo anche dormite. C’erano vagoni con cento persone».


IL GIORNO della liberazione i tedeschi stavano cercando di trasferire a piedi i prigionieri in un altro campo. Franco e suo padre sono riusciti a scappare con uno stratagemma, un fazzoletto bianco che si sono legati al polso per camuffarsi con i kapo. «Siamo stati avvistati — spiega — proprio mentre eravamo sotto la torre di controllo. Le guardie ci hanno visto, stavano per puntarci i fucili, ma in quel momento è suonato l’allarme per i bombardamenti americani e sono fuggiti». 

di Daniele Modica