"Io, prete iracheno, testimone della cacciata dei cristiani"

Don Georges Jahola a colloquio con monsignor Negri

Don Georges  ospite  in Arcivescovado

Don Georges ospite in Arcivescovado

Ferrara, 15 febbraio 2015 - «I cristiani in Iraq? Da un milione e mezzo che erano negli anni Ottanta sono passati a poco meno di 150mila, tutti profughi, dopo le stragi compiute dall’Isis nell’estate del 2014». Don Georges Jahola, sarcerdote siro cattolico di Qaraqosh, città irachena della piana di Ninive, ospite l’altro giorno dell’arcivescovo Luigi Negri, il fanatismo islamico l’ha conosciuto di persona e parla con la durezza di chi le violenze, le persecuzioni, le discriminazioni e le uccisioni le ha viste e vissute in prima persona. Da qualche anno studia in Italia e l’ultimo viaggio in Iraq risale alla primavera del 2014, pochi mesi prima dell’avanzata dell’Is, lo stato islamico che sta incendiando e terrorizzando il Medio Oriente, proiettando la sua ombra di morte verso l’Occidente. «Ho avuto una intensa conversazione con monsignor Negri – racconta –, era molto impressionato dal mio racconto».

La sua è una storia di morte, senza orpelli, senza buonismo salottiero, senza sconti. «Anche prima dell’avanzare degli islamisti fanatici – spiega – la situazione dei cristiani non era facile, essendo bersaglio di maltrattamenti e umiliazioni, ma almeno si poteva sperare in una convivenza garantita in qualche modo dallo Stato laico di Saddam Hussein. Dopo la guerra con gli Usa la situazione è peggiorata drasticamente: molti ci consideravano spie dell’Occidente e alcuni Imam, nelle moschee, tranquillizzavano i fedeli dicendo loro: ‘Non preoccupatevi di cacciare i cristiani: i loro beni arriveranno prima o poi nelle nostre mani con grande facilità’». Una sorta di macabra profezia: nell’agosto dello scorso anno, l’Isis ha costretto quei pochi cristiani e yazidi che ancora abitavano la piana di Ninive ad abbandonare case e beni e pochi giorni fa ha distrutto ciò che rimaneva delle antiche mura. Perché tanto silenzio su quello che sta succedendo? «I cristiani - risponde don Georges – non hanno peso politico e molti in Occidente considerano la nostra una causa persa».

E la chiesa Cattolica? «Fa quel che può - risponde sconsolato Jahola – ma è poco ascoltata. So che la diplomazia vaticana si sta muovendo nel silenzio ma temo ci sia poco da fare». Parlando con don Georges emerge una sorta di dolorosa rassegnazione. «Sono in contatto con molti preti ancora laggiù – racconta – e prima o poi tornerò anch’io ma sarà difficile che la situazione possa migliorare». E l’Isis? «Sono islamisti fanatici che seguono una loro interpretazione dell’Islam, una sorta di evoluzione di Al Quaeda...è riduttivo chiamarli terroristi. Loro sono il terrore vero e proprio».