LIDIA GOLINELLI
Cronaca

Wojtyla, trent'anni fa la visita a Imola

Era il 9 maggio 1986. La visita iniziò alla Rocca

Giovanni Paolo II a Imola, l’incontro con il sindaco di allora, Bruno Solaroli

Giovanni Paolo II a Imola, l’incontro con il sindaco di allora, Bruno Solaroli

Imola, 9 maggio 2016- «Le difficoltà non mancano anche qui da voi», riconosce il pellegrino vestito di bianco arrivato per «annunziare il messaggio evangelico della fiducia e della speranza, della solidarietà e dell’amicizia umana». E’ un venerdì di trent’anni fa, il 9 maggio 1986. Pioggia al mattino e bello nel pomeriggio quando, alle 15.50, l’elicottero atterra sul prato della Rocca e papa Giovanni Paolo II inizia il suo pellegrinaggio «verso l’uomo e la donna che vivono a Imola». L’uomo, la donna, il ragazzo, la ragazza, il bambino, la bambina: sono tantissimi in quel pomeriggio di abbracci e commozione. Ascoltano il papa polacco che li esorta alla «ricerca del vero bene della società e della vera promozione della dignità umana». Che avverte: «Non vanno taciuti purtroppo fenomeni preoccupanti che hanno la loro matrice in un umanesimo cosiddetto orizzontale, privo di un più alto confronto con i valori trascendenti». E aggiunge: «Spetta un ruolo importante anche ai responsabili della cosa pubblica». Si inchina, il sindaco Bruno Solaroli, e chiede a Karol Wojtyla di ricordare così gli imolesi: «Tante formiche generose, solidali, capaci di sperare e operare anche contro ogni speranza».

Solaroli custodisce quei momenti: «E’ stato un incontro estremamente importante, Wojtyla era un personaggio eccezionale, si avvertiva la sua forza. Per Imola sono stati anni bellissimi e di mobilitazione popolare con la visita di due presidenti della Repubblica, Sandro Pertini e Francesco Cossiga, e di Giovanni Paolo II. Sono eventi che aiutano, ti danno forza, ti fanno sentire importante assieme al tuo popolo, alla tua terra». Il sindaco dell’86 non dimentica il suo saluto al papa: «Come Vostra Santità ha indicato, impareremo ancora di più a rispettare gli autentici valori». Cos’è cambiato in trent’anni? Solaroli risponde in un soffio: «Non è cambiato poco; da noi, in Europa, nel mondo c’è stata una regressione nei valori. Il cambiamento, le politiche economiche, la finanziarizzazione dell’economia, l’aumento delle diseguaglianze e della povertà hanno scatenato la paura, e la paura porta alla regressione. Non a caso papa Francesco, un altro grande personaggio, si è rivolto all’Europa con parole che danno il senso di ciò che è cambiato. C’era un circolo virtuoso che si è interrotto e siamo regrediti». E le ‘formiche’? «Io mi do ancora da fare, sperando che i valori riprendano forza». La lancetta torna al pomeriggio iniziato davanti alla Rocca con l’inno della Città del Vaticano, l’inno di Mameli e anche il valzer di ‘Romagna mia’. Il secondo momento del pellegrinaggio in terra imolese è l’incontro con gli ammalati in San Cassiano. «Uno dei momenti più importanti di questa visita», sottolinea il papa, e ringrazia il vescovo Luigi Dardani. Anche lui non sta bene, ma è in cattedrale a condividere una speranza: «Accostandosi a Gesù si può avere sollievo e colmare di senso questa prova terrena». L’esplosione di gioia è all’autodromo, quando la jeep bianca sfila verso il palco alla variante bassa e dalle tribune migliaia di giovani intonano un ‘Alé oh oh’ da grande tifo. «Valorizzate al massimo i contenuti della religiosità trasmessa dalle generazioni passate e traduceteli nella religione pura e senza macchia», raccomanda Wojtyla. Poi un accenno al disastro nucleare di Chernobyl, a pochi giorni dalla nube radioattiva sprigionata dalla centrale là nel nord dell’Ucraina.

E’ sera quando l’elicottero si alza in volo e i papa boys si sbracciano nel saluto. «Piangevamo tutti», ricorda Annalia Guglielmi, che oggi è fra i ‘responsabili della cosa pubblica’ e allora era fra la folla in bianco-giallo. Aveva conosciuto Karol Wojtyla nel ‘78 a Cracovia, poco prima che il cardinale prendesse il nome di Giovanni Paolo II, e il suo è un legame oltre il tempo. «E’ ancora il mio papa», dice. E mette a fuoco un’altra immagine del pellegrinaggio in Romagna seguito tappa dopo tappa: «A Ravenna ero in prima fila e al passaggio del papa gli gridai wujek, in polacco zio, come lo chiamavano i ragazzi della sua comunità per non svelarne in pubblico l’identità di sacerdote. Lui si girò e mi riconobbe: ‘Sei qui anche tu...’, mi abbracciò e mi diede un grande bacio».