"Ebola, siamo rientrati dal Congo. Ma nessuno ci ha controllati"

Lo stupore di due volontari che sono stati nel Paese ‘contagiato’

Lucia Della Bartola con il compagno Massimo Pagliai

Lucia Della Bartola con il compagno Massimo Pagliai

Modena, 7 ottobre 2014 - «Siamo tornati in Italia dal Congo e nessuno ci ha chiesto nulla né in aeroporto a Kinshasa, né a Parigi, né, tantomeno, a Bologna, eppure a pochi metri da noi sono morte 167 persone per l’Ebola». Esprime stupore Lucia Della Bartola, presidente di ‘Non basta un sorriso Onlus’, associazione con sede a Vignola che si occupa dei bambini orfani o vittime di abusi nella Repubblica democratica del Congo. Dopo aver inaugurato gli anni scorsi un orfanotrofio per bimbi abbandonati, infatti, Lucia, insieme al compagno modenese Massimo Pagliai, il mese scorso ha nuovamente raggiunto la capitale, Kinshasa, per aprire il suo secondo sogno, ‘Noè-la scuola dei sorrisi’, istituto gratuito per i bambini che si trovano in forte condizione di disagio.

Nonostante l’emergenza internazionale legata la virus Ebola, con diversi casi segnalati anche in Congo, Lucia e Massimo hanno deciso di partire per portare avanti il loro grande progetto, ma temevano di incontrare qualche difficoltà a rientrare, visti i recenti decessi proprio vicino alla capitale. Eppure nessuno si è posto il problema, sia negli aeroporti europei, sia in Italia, della loro provenienza, nonostante si ‘gridi’ attenzione al contagio da mesi. Proprio due giorni fa il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha dichiarato che L’Italia è pronta a evacuare eventuali pazienti.

«I sistemi di monitoraggio funzionano — ha detto il ministro — e già da mesi, per quanto riguarda i sistemi di sicurezza abbiamo allertato il circuito, diramando circolari e misure di controllo per le navi merci che provengono da paesi infetti e per aeroporti». Secondo il racconto della coppia modenese, però, la situazione non è proprio la stessa descritta dalla Lorenzin. «Siamo saliti in aeroporto a Kinshasa insieme a tantissimi congolesi provenienti da diverse aree del Paese, dove l’epidemia si sta espandendo velocemente. Pensavamo ci avrebbero posto problemi a tornare in Italia, invece nessuno ci ha chiesto nulla, se non i documenti», racconta Lucia. «Poi è arrivato il momento dello scalo a Parigi, dove tutti i congolesi sono scesi e, anche in questo caso, il personale addetto ha impiegato diverso tempo solo per il controllo dei passaporti e dei visti. Infine l’arrivo a Bologna e, anche qui, nessuno si è posto il problema dell’arrivo di due cittadini da uno dei paesi inseriti nella lista di quelli ‘infetti’». Della Bartola racconta quindi come, a pochi passi dal loro villaggio, siano morte in meno di tre settimane 167 persone.

«Dalla nostra zona era sufficiente attraversare un fiume per ‘metter piede’ nell’area contagiata. Le uniche ‘misure’ adottate dal Governo prevedevano che i Parlamentari non si stringessero la mano, ma alla gente comune nessuno comunicava nulla. Noi ci siamo tenuti informati su internet. I primi giorni eravamo indecisi se rientrare subito in Italia, ma neppure dall’Ambasciata sono arrivate prescrizioni, quindi siamo rimasti coi bambini. Una nostra volontaria è tornata prima e l’unica cosa che hanno fatto in aeroporto, è stato provarle la febbre, facendole pure pagare ‘la prestazione’. Quello che un po’ fa pensare è che potremmo essere entrati in contatto col virus, così come tutti i congolesi seduti in aereo, ma nessuno ha prescritto analisi o test. Tra l’altro l’incubazione dura 21 giorni, quindi, ipoteticamente, potremmo essere tutti infetti. Il lato positivo è che abbiamo aperto la scuola per 210 bambini». In Italia il rischio contagio risulta basso, ma il servizio sanitario spiega di aver attivato tutte le necessarie iniziative di controllo. A quanto sembra, però, non è proprio così.