SILVIA SARACINO
Cronaca

Italiani uccisi in Zimbawe, Tarabini: "Ho rivissuto la morte di mio padre"

L’ad Blufin conosceva bene Claudio e Massimiliano Chiarelli: "Era una guida esperta"

Claudio Chiarelli insieme a Gianpaolo Tarabini

Claudio Chiarelli insieme a Gianpaolo Tarabini

Carpi (Modena), 14 marzo 2016- Per Gianguido Tarabini è stato un tuffo improvviso nel passato più doloroso. I ricordi sono andati subito a quella mattina del 2006 in cui ricevette una telefonata dallo Zimbabwe: era Claudio Chiarelli, gli disse che il padre e amico Gianpaolo Tarabini, fondatore di Blumarine, era morto in una battuta di caccia grossa schiacciato da due elefanti.

Ieri, a distanza di dieci anni esatti dalla tragedia, Chiarelli, 64 anni e il figlio 28enne Massimiliano sono stati uccisi nello stesso luogo in cui il cacciatore padovano andava a fare i safari con l’imprenditore di Carpi.

«Quando ho sentito la notizia ho pensato a Claudio ma mi sembrava impossibile che fosse lui, sono sconvolto» dice Gianguido, amministratore delegato del gruppo Blufin che produce le griffe disegnate dalla madre Anna Molinari.

Anche lei conosceva Chiarelli?

«Sì, lo conoscevo benissimo, era un amico di famiglia. Nel ‘91 mio padre mi portò in Africa per la prima volta, avevo vent’anni. Siamo stati ospiti a casa di Claudio, ho conosciuto sua moglie e i figli, tra cui il ragazzo che è morto. Sono tornato in Africa nel ‘99, sempre ospite a casa loro, e dopo la morte di mio padre Claudio venne a trovarci a Carpi».

Che rapporto c’era tra suo padre e Chiarelli?

«Erano molto amici, Claudio era un cacciatore professionista ed era la sua guida ma anche la sua scorta. Hanno fatto battute di caccia insieme dal ‘90 fino all’incidente mortale nel 2006, tutti gli anni mio padre partiva e stava in Zimbabwe due settimane. Claudio era una persona genuina, per quindici anni mio padre ha messo la sua vita nelle sue mani. Ancora oggi reputo un’imprudenza aver portato il figlio Massimiliano alla battuta di caccia».

Cosa intende?

«Il giorno in cui mio padre morì Claudio aveva portato anche suo figlio. Credo che, in una situazione di pericolo, sia più che comprensibile che un padre protegga suo figlio e si concentri su di lui. Ma non mi sono mai arrabbiato con Claudio, lo conoscevo bene ed ero sconvolto. Probabilmente Chiarelli si sentiva molto sicuro».

Cosa ricorda del suo rapporto con la comunità locale?

«Conosceva tutti e tutti sapevano chi era, anche perchè in Zimbabwe i bianchi non sono molti. Aveva una bella villa ma aveva un rapporto ottimo con la popolazione locale. Quando ci fermavamo in albergo durante i safari gli accompagnatori conoscevano benissimo Claudio e anche mio padre».

Che idea si è fatto dell’omicidio?

«Non voglio azzardare ipotesi perché ci sono indagini in corso, però mi sembra molto strano che li abbiano scambiati per bracconieri: è difficilissimo che ci siano bracconieri bianchi e tutti sapevano chi era Claudio e che cosa faceva, era un cacciatore professionista. Era arrivato in Africa a metà degli anni settanta e dopo alcuni anni si era stabilito in Zimbabwe dove viveva con la sua famiglia. E poi, la sua morte mi sembra una strana coincidenza».

Si spieghi meglio.

«Non lo so, una sensazione. È morto esattamente a distanza di dieci anni dalla morte di mio padre...».

Le ha mai detto di avere paura, di temere per la sua vita?

«Non mi ha mai parlato di queste questioni, era molto amico di mio padre. Facevano battute di caccia assieme a Giuseppe Martinelli, carpigiano (ex presidente del Tiro a Segno nazionale Cibeno) e al fotografo Aldo Castoldi di Milano. Comunque, le indagini spettano alle autorità».