Modena, 2 settembre 2011- DOMENICA non gli passerà tutta la vita davanti agli occhi, ma la sua carriera calcistica certamente sì. Per Cristiano Bergodi la sfida col Pescara non sarà solo un match da vincere per riportare la barca gialloblu in acque più tranquille, ma anche la partita dei ricordi. «Nove anni a Pescara e sette alla Lazio, di cui gli ultimi due con Zeman allenatore. Io sono un... affidabile, ho cambiato solo tre squadre in tutta la mia carriera di calciatore, dopo i biancazzurri le due stagioni di Padova».
MISTER, partiamo da Pescara. Come arrivò in riva all’Adriatico?
«Avevo appena 16 anni, la mia prima grande avventura lontano da casa. Venivo dal Casalotti, una squadra di un quartiere romano dove ero arrivato dal settore giovanile della Lazio. Nel Pescara ho finito la trafila delle giovanili, dalla Beretti sino alla prima squadra, dove mi fece debuttare il povero Catuzzi. Ho un ricordo stupendo di quegli anni, Pescara mi ricorda la giovinezza, sono stato lì dall’81 all’89, in biancazzurro ho cominciato a fare il professionista, mi sento ancora molto legato alla città».
Nel Pescara di quegli anni anche la serie A e giocatori di grande livello...
«Come no, c’era un certo... Leo Junior, e poi Sliskovic, ve li ricordate i suoi baffoni? Uno dei più grandi giocatori slavi che allora calcavano i campi di calcio. In quegli anni nel campionato italiano venivano quasi tutti i grandissimi, non importava se non era una squadra di primissima fascia come poteva essere il Pescara, l’importante era giocare da noi. Il patron era Scibilia, quello della Gis Gelati, grande appassionato anche di ciclismo, aveva una squadra nei professionisti con grandissimi nomi».
Nel 1989 il ritorno nella sua Lazio...
«Avevano bisogno di un difensore centrale, e tornai nella squadra dove ero stato da bambino e di cui ero grande tifoso. Bracciano feudo laziale? In un certo senso, diciamo che la provincia ha sempre avuto più simpatie biancocelesti piuttosto che romaniste».
E nella Lazio due campionati com Zeman in panchina...
«Ho giocato molto in quelle due stagioni, feci anche un gol decisivo a Firenze a tempo scaduto, era il 94’, pareggiammo in dieci contro undici. Era una bella Lazio, c’era Marchegiani in porta, un giovane Nesta, Chamot, Cravero, Favalli. Un grande centrocampo, copn di Matteo, Winter, Fuser, e in attacco gente come Boksic, Casiraghi e Signori. E poi il grandissimo Gazza Gascoigne».
E’ difficile giocare il calcio di Zeman?
«Credo di no, almeno per me non fu difficile adattarmi. Forse perchè quel 4-3-3 era simile a quello che predicava a Pescara il mio maestro Galeone. Magari quello di Zeman era molto più spregiudicato, con lui le partite non sono mai chiuse fino alla fine. Certo che per praticare il suo gioco, con i continui ’tagli’ delle due catene di destra e di sinistra, ci voleva molta esercitazione».
Come era come allenatore?
«Parlava piano, era molto flemmatico. Certo che qualche volta per capire dovevi avere le orecchie ben tese. Diceva poche cose, ma sapeva anche essere simpatico. La preparazione fisica? Era un martello, si faceva grande fondo e poi allenamenti con i carichi ’naturali’, vedi i famosi ’gradoni’. Ma le sue squadre correvano e corrono ancotra tutte, io ad esempio con lui mi sentivo sempre tonico».
Cosa gli dirà domenica?
«Niente di particolare, lo saluterò cordialmente. Sarà un piacere rivederlo dopo tanti anni».