Raffaello è come un Sole: illumina le arti

Alla Venaria Reale di Torino, una grande esposizione sul pittore d’Urbino. Tantissime le opere marchigiane che segnano il legame con arazzi e ceramiche

“La Muta” di Raffaello, proveniente dalla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino

“La Muta” di Raffaello, proveniente dalla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino

Torino, 8 ottobre 2015 - Una mostra straordinaria alla Reggia di Venaria (Torino), dal titolo Raffaello. Il Sole delle arti, fino al 24 gennaio racconta come il genio di Urbino, tramite i suoi cartoni e i suoi disegni, sia stato esaltato anche dalle arti cosiddette congeneri, come le chiamava Vasari, cioè le arti applicate che, ciascuna attraverso le proprie tecniche, tradussero folgoranti intuizioni.

Figure e immagini che presero vita grazie all’opera di scultori, fonditori, ceramisti, mosaicisti, intagliatori e armaioli.

C’è molto dell’anima marchigiana nelle quindici sale, allestite con molti pezzi che arrivano dalla nostra regione, scelti dal curatore Gabriele Barucca, funzionario storico dell’arte della Soprintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio delle Marche, insieme all’austriaca Sylvia Ferino, senza dubbio la più importante studiosa di Raffaello in attività.

Professor Barucca, lei tre anni fa curò a Venaria la mostra “Lorenzo Lotto. Il Rinascimento nelle Marche”. Perché ora questa nuova prestigiosissima collaborazione?

«L’idea prende spunto dal restauro nei laboratori del Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale di un arazzo con la Pesca miracolosa, frutto dei cartoni degli Atti degli Apostoli di Raffaello, conservato nel Museo Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto».

Cosa dimostra questo arazzo?

«E’ la dimostrazione dell’attività sulle arti congeneri di Raffaello. Ho scelto questo termine del Vasari, che sostituisce quello di arti minori e mi sembrava riduttivo. Raffaello ha lavorato molto su questi aspetti».

Con quale taglio nuovo vengono presentati questi lavori?

«Da un lato si ripercorre la carriera straordinaria dell’artista, dall’altro si può apprezzare il suo impegno nelle arti applicate e nelle analisi parallele».

Vale a dire il fondamento del concetto di riproducibilità dell’arte.

«Raffaello è visto dalla cultura idealista come il grande maestro dei massimo sistemi. Ma il suo lavoro si svolge anche in una bottega rinascimentale: lui è un grande imprenditore e questo è uno dei suoi meriti maggiori. La discriminazione delle arti, arrivata dopo Giulio Romano, non lo tocca. La sua derivazione è medievale e la sua visione è quindi unitaria».

Nella mostra ci sono capolavori assoluti.

«E’ costruita su 131 pezzi di altissimo livello, dalla Muta alla Madonna del Granduca, passando per La visione di Ezechiele, che è il logo della mostra e viene riprodotta anche in una visione di Rubens e in un arazzo enorme che ripropone ingigantita l’idea di Raffaello».

La mostra "Raffaello. Il Sole delle arti" a Torino

Quali pezzi arrivano direttamente dalle Marche?

«Molti. Tra questi, oltre all’arazzo di Loreto appena restaurato, ci sono i maestri di Raffaello: il Perugino della predella di Fano, da San Severino arriva la Madonna della Pace di Pinturicchio, la Crocifissione di Signorelli dalla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino. Poi esponiamo opere di Giovanni Santi, il padre di Raffaello, realizzate per il Palazzo Ducale di Urbino, il luogo della formazione di Raffaello, perché il padre era il regista di corte di Guidobaldo da Montefeltro».

Per il “Pil” del Ducato di Urbino l’artista è stato una vera miniera...

«Infatti sono suoi i modelli che serviranno per un’industria vera e propria, quella della maiolica istoriata, che ha avuto un’importantissimo valore economico per il territorio ai quei tempi».

Che eredità Raffaello ha lasciato alle Marche?

«Grazie a lui e a Leopardi le Marche si sono attestate come la regione più classicista che ci sia. Un aspetto ricordato anche da Piovene nel suo Viaggio in Italia. Sono loro due, in tempi e con modi diversi, a recuperare la tradizione e a farla vivere».

E dal punto di vista artistico tra i marchigiani chi si è inserito nelle linea aperta da Raffaello?

«E’ una domanda molto complessa. Mi viene in mente Federico Barocci, altro caso di artista straordinario e innovativo, che però si è chiuso in se stesso. D’altra parte le Marche e Urbino già nel Seicento erano una regione già ripiegata su se stessa e marginalizzata, senza più il respiro internazionale che Raffaello aveva contribuito a dare».

Come deve uscire il visitatore da questa mostra?

«Deve lasciarsi coinvolgere dal percorso, dove ogni singolo pezzo sprigiona bellezza. Ecco, deve lasciarsi abbagliare dalla bellezza».