Generale Bertolini, addio amaro: "Giovani, fate la naja"

"Provincialismo spaventoso della classe dirigente"

Marco Bertolini è cresciuto nei ranghi del IX Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin

Marco Bertolini è cresciuto nei ranghi del IX Reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin

Reggio Emilia, 6 luglio 2016 - Scroscio di applausi per il leader uscente delle missioni italiane all’estero, una standing ovation fuori protocollo nell’hangar addobbato a festa, presenti un centinaio tra generali, ammiragli, colonnelli. Primo luglio, cerimonia a Roma (senza traccia di politici). Marco Bertolini, 63 anni, paracadutista incursore, il generale di corpo d’armata partito ragazzo da Rubiera, è andato in pensione. Un mito delle forze armate, medaglia d’oro, ha lasciato la guida del Comando operativo di vertice interforze. Bertolini ha salutato con un discorso drammatico, una sveglia all’Italia, evocando scenari di guerra, «sfide che alla mia generazione sono state risparmiate». Anche se poi, concludendo con una battuta la festa d’addio, ha voluto alleggerire il peso delle sue parole: «Sta a me, da adesso, fare in modo che l’estraneo che nei giorni a venire sorprenderete a notte fonda in pigiama intento a saccheggiarvi il frigorifero sappia meritare qualcosa di più della vostra imbarazzata sopportazione». Bertolini oggi verrà dalle nostre parti. Saluto privato alla bandiera dell’Accademia militare di Modena, dove cominciò l’avventura a 19 anni, e riunione di famiglia coi due fratelli a Rubiera.

Generale Bertolini, come si vede pensionato?

«Io ne avrei fatto a meno. Ero contento del mio lavoro, entusiasmante, a contatto col mondo reale che incontriamo tutti i giorni fuori dai confini di casa nostra».

Nelle forze armate 44 anni. Qual è stato il momento più brutto?

«In Afghanistan nel 2009. Il 17 settembre sono morti sei paracadutisti uccisi da un’autobomba. Io ero capo di stato maggiore. Ho tuttora contatti molto stretti con le famiglie, che hanno rispetto per la scelta del figlio e attaccamento alla bandiera».

L’esperienza più bella.

«Tante. In Somalia nel 1992 l’operazione di maggior soddisfazione: operavamo come italiani, non nella Nato, non nella Ue che fa disperdere le identità. In un paese che parlava italiano. Salvammo i militari pakistani e americani nel centro di Mogadiscio».

Il futuro delle forze armate. Invecchiano e non si assume più. Fra 10 anni l’età media sarà altissima. Tanti militari vecchietti.

«Fra molto meno di dieci anni! Certo, c’è un problema di età. Un fuciliare a 35-40 anni non può più fare il fuciliere. Abbiamo tanti precari, dieci anni poi vanno via».

Ripristinerebbe la naja?

«Ci vorrebbe. Per i giovani. Hanno bisogno di essere educati ai doveri. Sarebbe una scuola di democrazia, abituerebbe i giovani a dare qualcosa alla società. Ora non è così. Lo Stato, la società è qualcosa a cui siamo subordinati. Certo la leva obbligatoria non può sostituire il servizio professionale, ma se riuscissimo ad avere una forma obbligatoria per gli enti territoriali non sarebbe male».

Nelle scuole dilaga il bullismo, ma nelle caserme c’era il nonnismo.

«Se c’era il bullo, da noi si prendeva come minimo una scarica di consegna, se non peggio. E adesso vengono a fare la morale ai militari perchè c’era il nonnismo. Ma di cosa stiamo parlando... Mia moglie insegnante me lo dice, cos’è la scuola adesso».

Alla festa di commiato ha lanciato l’allarme per la sicurezza dell’Italia negli anni a venire.

«Siamo il Paese che investe di meno e siamo i più esposti. La Libia è a due passi da casa nostra. Non siamo sulla Luna, siamo al centro del Mediterraneo. Ma c’è il provincialismo spaventoso e pericoloso della nostra classe dirigente che pensa di smarcare i problemi dal punto di vista economico, diplomatico, culturale. I problemi devono essere affrontati anche con la forza militare, e invece li si vuole ideologicamente ignorare».

Tutti rivendicano la priorità nel loro campo: suo fratello geologo la rivendicherà per difendersi dal dissesto idrogeologico. E la sanità, la scuola, la povertà.

«Qui non parliamo della salute delle persone, ma della sopravvivenza della società. Non il bene del singolo, ma quello di tutti come società organizzata. La priorità non viene dalla cronologia, ma dal peso che hanno questi danni».

Pensa che un Paese come l’Italia potrebbe in futuro precipitare nell’anarchia e nella guerra civile come succede in Medio Oriente?

«Io non mi fascerei la testa, ma è una situazione difficile e lo sarà ancor di più se non si controlla l’immigrazione».

Lei ha operato nei Paesi più destabilizzati.

«A forza di stare all’estero ho imparato a rispettarli molto. Ma perchè dobbiamo rassegnarci a cambiare la popolazione italiana? Facciamo una politica delle famiglie, facciamo fare i figli alle nostre famiglie come in Francia. Due uomini non si riproducono».