Rimini, bimbo nasce cerebroleso. L’Ausl pagherà 3 milioni

Parto ritardato, l’Ausl condannata a risarcire i genitori

Sala parto (foto repertorio)

Sala parto (foto repertorio)

Rimini, 19 febbraio 2018 - «Nostro figlio è cerebroleso dalla nascita per ritardi al momento del parto. Nessuna cifra potrà mai risarcire la sua e la nostra vita». Lui, il loro piccolo, non potrà mai né correre, né ridere come gli altri. Il giorno più bello della loro esistenza, la nascita del primo figlio, si è trasformato in un dramma senza fine. La coppia di genitori, residenti nel Pesarese, 44 anni lui, 37 lei (assistiti dall’avvocato Bruno Barbieri del foro di Pesaro) da otto anni assiste, ventiquattro ore su ventiquattro, il bambino. Encefalopatia ipossico ischemico. E’ questa la terribile diagnosi che ha segnato, per sempre, la vita di loro figlio. Il piccolo, venuto alla luce nell’autunno del 2009 all’ospedale Infermi, è nato cerebroleso per ritardi nell’induzione del parto. Ritardi che hanno comportato le gravissime conseguenze determinando nel piccolo un’invalidità del cento per cento.

A stabilirlo è una sentenza del Tribunale di Rimini, la sezione civile che pochi giorni fa ha condannato l’Ausl Romagna a versare al padre e alla madre del bambino, che adesso ha otto anni, tre milioni di euro. Una battaglia, quella intrapresa dalla famiglia tramite l’avvocato Bruno Barbieri, intrapresa fin dalla nascita, che è stata ricostruita davanti ai giudici dopo un primo tentativo di trattativa extragiudiziale con l’Ausl. La donna si era presentata all’ospedale di Rimini nell’autunno del 2009, a 39 settimane e 4 giorni di gravidanza con una prenatura rottura delle membrane. I medici però avevano atteso 31 ore prima di stimolare il travaglio per far nascere il piccolo. E questo ritardo ha provocato nel neonato una lesione cerebrale irreversibile. Il piccolo non avrebbe mai potuto avere una vita normale. Da qui la battaglia legale intrapresa con l’Ausl. Le perizie compiute dagli esperti del Tribunale hanno infatti confermato che «i danni cerebrali irreversibili del minore sono integralmente ascrivibili alla condotta dei sanitari. Se il travaglio fosse stato indotto cinque ore prima si sarebbero evitati gli esiti dell’asfissia acuta», si legge nella sentenza. E sempre i giudici scrivono che «è emerso che i sanitari hanno violato la regola prudenziale che, in presenza di aumentato rischio infettivo, suggerisce l’induzione del parto al fine di fronteggiare le complicanze quali ipossia».

Parole che hanno portato il Tribunale a condannare l’Ausl al risarcimento di tre milioni di euro. Commenta l’avvocato Barbieri: «Mi auguro che l’Ausl provveda ad ottemperare a questa sentenza in tempi brevi. Fino ad ora nessuno si è fatto vivo». I genitori sono di poche parole: «E’ ancora più doloroso sapere che la tragica condizione a cui è stato condannato nostro figlio è dovuto a una negligenza dell’ospedale e non dipende dal destino. Nessuna cifra potrà mai risarcire la vita del nostro bambino».