Intervista a Marcello Foa: "Imprenditoria Marche, vince l’aspetto umano. Col rebus successione"

L’ex presidente della Rai sarà ospite della prima edizione del Premio Azimut che farà una selezione delle migliori aziende per creatività e sviluppo "Capacità nel coniugare l’apertura al mondo e attaccamento al territorio".

di Nicolò Moricci

Marcello Foa, giornalista, è la prima volta nelle Marche?

"No, le Marche sono una regione bellissima. Ogni volta, rimango affascinato dalla vostra terra per due motivi: da un lato la sua bellezza, quasi più dell’entroterra che della costa, che è di un fascino incredibile. E poi sono colpito dagli imprenditori marchigiani, dalla loro capacità e straordinaria abilità nel coniugare l’apertura al mondo – perché oggi, se vuoi brillare, punti sul mercato internazionale – mantenendo però forte l’attaccamento al territorio. C’è un rapporto di fedeltà nei confronti dei dipendenti che entrando nelle Pmi si sentono in famiglia. Ecco, l’aspetto umano fa la differenza".

Ancona la conosce?

"Ci sono passato diverso volte. Spero di godermela in estate". Che serata sarà quella del 17 maggio?

"L’intenzione è valorizzare l’eccellenza imprenditoriale che Azimut sostiene da tempo. È una bella occasione, sono sensibile alle iniziative che valorizzano le realtà territoriali in un mondo che invece va un po’ nell’altra direzione. L’Italia è fatta di grandi ricchezze non sempre conosciute".

Da dirigente d’azienda, cosa pensa del tessuto economico e imprenditoriale marchigiano?

"A fare la differenza è lo spirito imprenditoriale. Ci sono delle magie nel nostro Paese per cui in alcune zone (Marche, Lombardia, Veneto ed Emilia) viene incentivato (o nasce da sé) una propensione all’imprenditoria. Che qui è particolarmente dinamica e brillante".

Quale il nodo principale? "Quello della successione. Quando un imprenditore si ritira, bisogna essere certi che nuovi giovani marchigiani abbiano voglia di essere imprenditori. È questa la sfida che pure le Marche devono cogliere".

Lei ha fondato l’Osservatorio europeo del giornalismo. Qual è lo stato di salute della stampa italiana ed europea oggi? "Non è positivo. I media hanno sempre meno risorse economiche a disposizione, perché è cambiata la loro funzione. E ciò ha indebolito il giornalismo: se gli editori non sono ricchi, i giornalisti non possono svolgere il loro ruolo con il coraggio e la giusta indipendenza. Ma sono critico anche con l’informazione mainstream perché progressivamente ha ammorbidito troppo la sua funzione principale per diventare il diffusore di una interpretazione del mondo che diventa convenzionale. Non dimentichiamo che il giornalismo è dibattito e interrogazione. Oggi prevale un conformismo generale su temi importanti e una determinata stampa diventa ideologica e partitica, allontanando il pubblico dalle testate e danneggiando la sua utilità storica. E in democrazia è un male". La Rai di oggi le piace?

"Sì, sono state prese decisioni importanti in tempi rapidi (la messa in ordine del patrimonio immobiliare, nascita su Milano di una nuova sede, ecc). Poi c’è la parte dei contenuti, delle star. E qui c’è una grande novità: la Nove non è più una tv piccola, ma una tv con alle spalle un colosso americano che investe pesantemente in Italia. E al duopolio Rai-Mediaset, sta subentrando un terzo protagonista che sta cambiando il settore televisivo. Una sfida senza precedenti".