"Devastato dal virus a 35 anni" Scala e gli effetti del Long Covid

Il primario di Pneumologia: "Un caso che ci ha impressionato: ha perso 15 chili, tracheostomizzato e con un sondino per nutrirsi. Stiamo ancora seguendo 600 persone nel percorso di riabilitazione"

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di Lucia Bigozzi

Trentacinque anni, fisico sano, nessuna malattia pregressa. Prende il Covid, finisce in ospedale, poi in terapia intensiva e quando torna nel reparto che lo aveva accolto, medici e infermieri non lo riconoscono: "Aveva perso quindici chili, era attaccato al respiratore, tracheostomizzato, immobile nel letto con un sondino per nutrirsi".

Raffaele Scala dirige Pneumologia e l’Unità di terapia intensiva polmonare (Utip) e insieme ai colleghi di Malattie Infettive e Rianimazione, di pazienti Covid finora ne ha visti un migliaio. Tra questi, una ventina in Long Covid, cioè in fase post-acuta ma con effetti importanti che persistono nel tempo. Seicento aretini sono tuttora monitorati dopo la dimissione dall’ospedale e seguiti nella fase di riabilitazione. Ci vogliono mesi per recuperare e, nel caso di un paziente aretino, perfino un anno prima di tornare a casa, sapendo però che non è finita. La riabilitazione è la fase che richiede maggiore impegno e pazienza, soprattutto quando il fisico è provato dagli effetti del virus: stanchezza, mobilità rallentata, respiro corto, problemi cardiovascolari e danni cerebrali, la memoria che sparisce, difficoltà cognitive e di concentrazione. Ci sono poi le conseguenze a livello psicologico: tendenza all’isolamento, difficoltà nelle relazioni, paura latente.

Cosa è successo al giovane di 35 anni?

"Quando dalla Rianimazione è tornato nell’Unità di terapia intensiva pneumologica è stato gradualmente staccato dal ventilatore, liberato dalla cannula nello stomaco. Erano mesi che non vedeva moglie e figli, era molto provato. E’ andata bene ma ha dovuto affrontare il percorso di riabilitazione, tuttora attivo a livello ambulatoriale".

Perché si arriva al Long Covid?

"Non c’è ancora una conoscenza codificata, si tratta di uno spettro di alterazioni eterogenee, alcune di impatto psicologico magari conseguenti all’esperienza della Rianimazione oppure di una degenza nel nostro reparto o in Malattie Infettive con ventilatore e casco. Sono persone che si negativizzano ma hanno un quadro clinico compromesso, con polmoni devastati per gli effetti diretti del Covid ma anche per le infezioni che possono svilupparsi successivamente con un abbassamento notevole dei meccanismi di difesa. Nei casi più gravi, ci possono essere fibrosi ai polmoni, con il paziente negativizzato ma ancora dipendente dal ventilatore. In questi mesi abbiamo accolto persone in Long Covid nell’Utip, un’area non Covid in Pneumologia, e abbiamo avuto diversi giovani. La Pneumologia con l’Utip ha lavorato e lavora su due fronti: Covid da un lato, e non Covid e Long Covid dall’altro. Proprio oggi l’Utip Covid si è svuotata ma sappiamo già di dover accogliere un paziente dipendente dal ventilatore in arrivo dalla Rianimazione".

Come funziona la riabilitazione?

"Nel nostro ospedale è operativa l’Unità di neuro-riabilitazione per i casi più gravi. Per le persone dimesse, abbiamo un protocollo di verifica ambulatoriale con una serie di controlli per stabilire se a distanza di 3-6 mesi dalla malattia è rimasto un residuo di polmonite da Covid. Sono seicento gli aretini seguiti finora a livello ambulatoriale e sottoposti a spirometria, fisioterapia e valutazione psicologica. C’è poi un servizio di tele-monitoraggio con professionalità attivate anche per pazienti non Covid su altre patologie che consente un collegamento diretto tra malato e specialista, insieme al medico di medicina generale. Nel cammino riabilitativo, la persona impara a recuperare il respiro, l’autonomia motoria e a ritrovare un equilibrio psicologico".

Quanti sono attualmente i ricoverati per Covid al San Donato?

"Ne abbiamo otto in Malattie Infettive e uno in Terapia Intensiva. La maggior parte dei ricoverati non sono vaccinati, il resto ha ricevuto il siero ma presenta una forma di infezione non grave. Senza il vaccino, le conseguenze sarebbero state ben più serie".