Russia-Ucraina, da Twitter a TikTok la guerra corre anche sui social

Le insidie della comunicazione bellica, tra aree grigie e fake news: intervista a Serena Lisi, esperta in materia, docente a contratto dell'Università di Firenze

Militari ucraini a Kiev (Ansa)

Militari ucraini a Kiev (Ansa)

Firenze, 6 marzo 2022 – Un guerra fatta anche a colpi di social. Il presidente ucraino Zelensky ha spopolato su TikTok con i suoi video in tuta mimetica e dal profilo Twitter, che ha superato i 4,7 milioni di follower, comunica al mondo e fornisce continui aggiornamenti. La Russia risponde via Telegram e blocca Facebook e Twitter. Intanto, su qualsiasi social vengono pubblicati ininterrottamente video e immagini da Kiev e dalle zone belliche. Si vedono i profughi in fuga, gli effetti delle bombe sulle città, i rifugi pieni di donne e bambini. Su Telegram sono nati gruppi che forniscono notizie h24 sul conflitto. Quali sono le peculiarità di questa guerra che corre anche sui social? Lo abbiamo chisto a Serena Lisi, docente a contratto di analisi e pianificazioni delle operazioni di pace all'Università degli Studi di Firenze.

Chi sta vincendo nella comunicazione, Zelensky o Putin? «Chi vincerà questa guerra ce lo dirà la storia. La comunicazione nel conflitto russo-ucraino si caratterizza per il fenomeno che politologi e internazionalisti chiamano, con un termine che era utilizzato da Richard Buckminster Fuller, di 'efemeralizzazione'. Significa “fare sempre di più con sempre di meno” e che in questo caso è “fare sempre di più su larga scala, sempre più lontano, con un semplice click”. Questo per dire che è coinvolta una sempre più ampia parte di utenti, a livello globale e in particolare in Italia, dove l'utilizzo del telefonino (anche più di uno a persona) è largamente diffuso».

Quali sono le funzioni dei social media in questa guerra? «Sono le stesse dei media tradizionali, prime fra tutte quelle di framing gaming, sensibilizzazione e agenda setting. Ma se nei media classici c'era una certa professionalità, in quelli di nuova generazione chiunque si può improvvisare reporter. Si assiste perciò ad una commistione di canali ufficiali e ufficiosi, tenuti da addetti ai lavori, con altri che invece sono tenuti da persone estranee alla tematica. Questo ha vantaggi e svantaggi. Il vantaggio è che c'è una pluralità di voci. Lo svantaggio è che risulta ancor più difficile che in passato distinguere ciò che è fake da cosa non lo è. L'esempio più classico è quello che sta succedendo su TikTok, che ai tempi della crisi della Crimea, collegata all'attuale tra Russia e Ucraina, non era ancora nato. Su questo social si stanno diffondendo una serie di video. Alcuni sono veri, altri falsi, altri ancora tagliati male e fanno perciò vedere solo una parte della realtà. Però quale parte? Questa è una domanda che dovremmo farci tutti».

Le fake news non sono una novità... «E' un fenomeno che ritroviamo spesso nei conflitti, sia del passato che del presente: si vedano ad esempio il dramma italiano a Kindu nel 1961 o i video propagandistici costruiti ad arte dallo Stato Islamico. Il problema della disinformazione, sia sui social media che in altri mezzi di comunicazione, c'è sempre stato. Siamo soverchiati da un sacco di informazioni, a tal punto che ci perdiamo in un rumore di fondo che va a coprire anche le notizie ufficiali, che per quanto possano essere anch'esse 'di parte', rientrano in una catena dell'informazione più codificata».

Come si fa a non cadere nella trappola delle fake news? «E' complicato. Ci vuole colpo d'occhio e capacità analitica di alcuni dettagli, come per esempio la capacità di verificare la fonte. Sopratutto durante i conflitti, viviamo nelle aree grigie, cioè la comunicazione ha qualcosa di vero e non vero insieme. L'esperienza insegna, ma insegna anche il buonsenso: bisogna cercare di restare con la mente lucida, cercare di analizzare con un approccio scientifico avalutativo tutto ciò che ci capita sotto gli occhi. Ma siamo di fronte ad una crisi prima di tutto umanitaria, che coinvolge esseri umani e tanti innocenti, quindi restare lucidi è difficilissimo».

Prima ha parlato di aree grigie nella comunicazione di guerra, può fare un esempio? «Sappiamo tutti che in Russia sono stati bloccati Facebook e Twitter. Questo è un fatto assai rilevante (e preoccupante). Ma altrettanto rilevanti sono ulteriori informazioni che possiamo trovare su piattaforme specializzate in report statistici come Statcounter, Statista o UNStats (United Nations Statistics): da esse scopriamo infatti che i russi fanno largo uso di Facebook, ma anche di altri social media di "produzione" locale, come ad esempio Vkontakte e Odnoklassniki, noti anche in Ucraina ed ivi ancora parzialmente raggiungibili nonostante i recentissimi blocchi. Scopriamo inoltre che in Ucraina molti cittadini stanno passando ad app come Signal e affini, che non raccolgono metadati. In Italia, dove Facebook è usato dalla maggioranza della popolazione, la notizia del suo blocco ha avuto un effetto ridondante, mentre altre notizie sono passate in secondo piano».

I social hanno avuto un ruolo importante, per la prima volta, nelle 'primavere arabe' . E' cambiato qualcosa da allora? «Durante le primavere arabe si è verificata a livello globale una grossa ondata di censura proprio sui social, per bloccare le proteste, che però sono andate avanti comunque, anche perché la comunicazione è tornata su una tecnologia meno aggiornata, la rete cellulare tradizionale e sopratutto quella radio. Nel conflitto attuale invece no. Nonostante il blocco di Facebook e Twitter da parte della Federazione russa, è cambiata solo la tipologia dei social, che continuano ad essere usati. Inoltre, in questa guerra, i social sono diventati una vera e propria bandiera di comunicazione, più o meno ufficiale, dei leader politici».

Cosa pensa della comunicazione del leader ucraino? «Senza dare giudizio di merito, è evidente che il presidente Zelensky, tramite i social Twitter e TikTok, sta sfruttando le proprie precedenti abilità di carriera del mondo dello spettacolo per mandare dei messaggi che poi fanno eco in particolare su una certa parte. Il leader ucraino, che conosce bene le tecniche comunicative, costruisce molte delle sue comunicazioni a uso e consumo dell'Occidente. Però, come accade in tutti i conflitti, oltre ad un messaggio principale che arriva ai paesi amici o comunque non avversari, c'è sempre un messaggio subliminale che passa alla controparte».