Il rebus delle pensioni

Vorrei far notare l'assurdità della soluzione ponte in materia previdenziale che il governo si appresta a inserire nella legge di bilancio, per evitare dal prossimo anno il ritorno alla legge Fornero tout court. Come trapela da quanto riportato sui principali mezzi di informazione, a meno di auspicabili ripensamenti in extremis, nel 2023 si potrà uscire con 62 anni d'età e 41 di versamenti invece che con l'attuale quota 102 (64 anni di età + 38 di contributi). Capisco l'intento di favorire i lavoratori "precoci", ma a tale scopo provvede già la pensione anticipata ordinaria prevista dalla Fornero che si ottiene, peraltro, senza dover soddisfare un requisito minimo di età, ma con la sola anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne. Dove sarebbe poi la tanto sbandierata (da partiti e sindacati) "flessibilità in uscita"? Sarebbe stata molto più equilibrata e preferibile in questo senso, a mio avviso, l'iniziale ipotesi di una "quota 102 flessibile" che consentisse un'uscita volontaria rispettivamente con 62-66 anni anagrafici e 40-36 di contribuzione. Mi auguro in ogni caso che resti almeno per il prossimo anno, in attesa di una riforma organica del sistema pensionistico, anche l'attuale possibilità di quiescenza per lavoratori/trici di 64, 65 o 66 anni che matureranno 38 anni di contribuzione, che altrimenti si troverebbero ingiustamente e doppiamente penalizzati rispetto ai più giovani di età con maggiori versamenti. Vincenzo Sardone