Manager statali, stipendi senza tetto. L'ira di Draghi: ripristinerò i limiti

Emendamento di Forza Italia cancella la soglia di 240mila euro: è stato votato da tutti. Poi le polemiche

Il premier Mario Draghi (Ansa)

Il premier Mario Draghi (Ansa)

Il Senato, con un blitz inatteso e di cui a sera tutti (anche coloro che l’hanno votato) disconoscono la paternità, ha approvato, nell’ambito del decreto Aiuti-bis, un emendamento per far saltare il tetto di 240 mila euro annui lordi previsto per i massimi dirigenti dello Stato. Un intervento che, però, trova la ferma contrarietà di Mario Draghi. Tant’è che raccontano che il premier, una volta conosciuta o scoperta l’operazione, l’abbia presa davvero male. "Ma come – si sarebbe sfogato irritatissimo con collaboratori e leader politici – il Paese deve fare i conti con il caro energia, e da Parlamento e governo arriva una decisione di questa portata".

Una decisione che il presidente del Consiglio è determinato a far cancellare nel nuovo decreto Aiuti-ter che sarà approvato in settimana. Poco conta che da Palazzo Chigi, informalmente, si rinvii la palla alle Camere: è un emendamento di origine parlamentare, si fa sapere. La sostanza è che nel mirino del premier finiscono, soprattutto, il ministero dell’Economia e il ministro Daniele Franco: la Ragioneria generale dello Stato ha dato il via libera alla modifica e, secondo fonti ben informate, nessuno si è preoccupato di raccordarsi con Palazzo Chigi. Insomma, tutti sapevano, nessuno sapeva e nessuno, soprattutto, si assume la responsabilità del pasticcio.

La cronaca della giornata racconta di un emendamento, firmato da Forza Italia, che il Ministero dell’Economia convalida e che viene votato in commissione e in aula da FI, Pd e Italia Viva, mentre Fdi, Lega e M5s si astengono. La formulazione finale dell’emendamento cancella il tetto per una serie di figure apicali della Pubblica amministrazione e delle Forze armate e di polizia: dal segretario generale di Palazzo Chigi ai segretari generali e ai capi dipartimento dei ministeri. Dal Capo della polizia, al comandante generale dei Carabinieri, dal comandante della Guardia di Finanza, ai capi di stato maggiore della Difesa e di Forza armata, dal comandante del comando operativo di vertice interforze, al comandante generale del corpo delle capitanerie di porto.

La norma originaria prevedeva una deroga per le sole forze dell’ordine, il comandante dei Carabinieri e della Gdf ed è poi stata estesa, in una serie di riformulazioni, a tutte le altre figure di vertice. Per tutti i soggetti indicati il "trattamento accessorio", le voci che si aggiungono allo stipendio di base e che negli scalini più alti della gerarchia sono le voci dominanti della retribuzione, potranno superare il limite massimo dei 240 mila euro. Una volta esploso il caso, si sono affrettati tutti a prendere le distanze. Innanzitutto i partiti che hanno votato a favore. "Non avevamo alternativa a votarlo per evitare che saltasse tutto e saltassero i 17 miliardi di aiuti alle famiglie" si difende Matteo Renzi, che il tetto lo aveva rafforzato nel 2014, a tre anni dall’introduzione, nel 2011, per mano del governo Monti.

Peccato, però, che la tesi non trova fondamento: il voto contrario all’emendamento avrebbe portato solo alla bocciatura della modifica. Tanto più che il premier non la voleva nemmeno. Dal Pd se la prendono implicitamente con il Ministero dell’Economia, chiedendo la cancellazione della misura. Ma anche da parte loro, però, il voto specifico è stato a favore.

Claudia Marin