Patuelli: "Ero uno studente fuorisede. Quella Firenze sapeva accogliere"

Il presidente dell’Abi: "Ma la città sotto la spinta di istituzioni e privati può ritrovare quello spirito"

Antonio Patuelli con il nonno Luigi Baroncelli, prima di iscriversi all’Università

Antonio Patuelli con il nonno Luigi Baroncelli, prima di iscriversi all’Università

Firenze, 22 agosto 2022 - Affitti alle stelle, difficoltà a trovare un posto dove abitare e, novità del prossimo anno accademico, la richiesta di una caparra da parte dei proprietari di appartamenti per fronteggiare il caro-bollette. E’ dura la vita per gli studenti universitari fuorisede (e per le loro famiglie che devono fronteggiare le spese), come l’inchiesta che sta conducendo il nostro giornale sta evidenziando.

Ma non è sempre stato così, come testimonia Antonio Patuelli, presidente Abi, l’Associazione bancaria italiana, che ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza in via Laura nei primi anni Settanta. "Mi rattrista leggere che gli studenti fuorisede di oggi abbiano così tante difficoltà: io ricordo una città estremamente accogliente con chi come me veniva da fuori", racconta.

Come era a quei tempi arrivare a Firenze?

"Da ravennate, anche se bolognese di nascita, con la mia famiglia scelsi Firenze per i miei studi. Ravenna era una realtà molto più piccola di oggi, rispetto a Firenze e ancora ricordo l’emozione dei primi giorni, a partire da quando andai alle Poste di piazza della Libertà a pagare le tasse di iscrizione e mi trovai in fila con Gino Bartali che aveva lo studio di assicuratore in via Cavour".

Come riuscì a trovare dove abitare?

"Su consiglio di Alberto Predieri, amico di famiglia, mi rivolsi all’istituto Stensen. Eravamo centoventi fra ragazzi e ragazze, divisi solo in base ai piani. Quella dello Stensen fu un’esperienza anche formativa. Vi si potevano svolgere attività culturali, il cineforum era solo una delle tante, perché c’era una sala convegni e una per la musica, ma c’era perfino il campetto da calcio".

Un approccio poliedrico al mondo.

"I gesuiti, guidati da padre Alessandro Dall’Olio, erano aperti al pluralismo. Dovevamo rientrare a mezzanotte ma, mettendosi d’accordo con il portiere, potevamo prolungare fino alle 2 e andare a teatro o al cinema".

Che università era quella di quegli anni?

"Era invasa da studenti non fiorentini e non toscani. Per esempio, nel Centro-Nord architettura c’era solo a Firenze e a Venezia. Firenze era un polo di attrazione e c’era tanta offerta di spazi dove risiedere, religiosi ma non solo. Oggi sarà diverso anche per la crisi delle vocazioni".

Ha mai avuto modo di cercare casa da studente?

"Sì, nella fase successiva degli studi, quando non ero più matricola. E le dirò che si trovava con grande facilità. Sa come? Compravamo La Nazione e studiavamo le offerte di affitto. Si trovava posto e anche a costi ragionevoli. Avevamo magari qualche problema con l’arredamento ma provvedevamo con poco. Conservo ancora una scrivania di quel periodo".

Era una città a misura di studente?

"Certamente c’erano meno comodità. Non c’era la tramvia, che è un ottimo servizio. E i treni non facilitavano i fuorisede, prendevamo i diretti, qualche direttissimo, qualsiasi idea di pendolarismo era frenata da questa lentezza. I trasporti di oggi facilitano un po’ chi non è residente".

Lei è molto legato a Firenze. Quanto incidono gli anni trascorsi qui all’università?

"Moltissimo. Viverci è stato un arricchimento continuo. E in luoghi come lo Stensen sono nate amicizie e legami che durano da una vita. Molti di noi studenti fuorisede di allora abbiamo continuato a sentirci legati a questa città che è stata così accogliente con noi. Confido che Firenze possa ritrovare, con la spinta delle istituzioni pubbliche ma anche di privati, quello spirito che ha legato per sempre generazioni di studenti a questa città".