Radar accesi sull’integrazione incompiuta

Delitti e Islam radicale

Bologna, 27 marzo 2022 - Saman Abbas, Hina Saleem, Sana Cheema, tutte giovani a cui hanno strappato il futuro, uccise dal clan familiare perchè colpevoli di vivere all’occidentale, Shahnaz Begum massacrata dal marito perché difendeva la figlia che come le altre sognava una vita senza i vincoli dell’Islam radicale. Sono tragedie che hanno, in negativo, un valore aggiunto rispetto ai tanti femminicidi conseguenza di sentimenti stravolti. Sono i 'delitti culturalmente motivati', come li definiscono i criminologi.

E sono episodi nati da una integrazione incompiuta, anche se si tratta di famiglie, in genere pakistane, che lavorano in Italia e hanno rapporti sociali nel luogo in cui risiedono. E allora come intervenire prima? Ce lo dobbiamo chiedere perché gli allarmi di Saman erano stati percepiti inutilmente. Infatti non sono seguite azioni che avrebbero potuto evitare il peggio. Così zio e genitori l’hanno massacrata e sepolta chissà dove, almeno secondo l’ipotesi d’accusa. Troppo libera, andava punita.

La nostra società deve adottare strumenti per controllare se l’integrazione c’è davvero. Dobbiamo essere in grado di offrire alternative reali a chi vuole fuggire dalle regole della comunità a cui fa riferimento se contrastano pericolosamente con le nostre. Integrazione significa accogliere ma anche esercitare un controllo sociale profondo e intervenire in ambiti familiari dai quali affiorano richieste di aiuto. Saman insegna.

Certo, il confine con la sfera privata è delicato. Lo scontro fra culture a rischio di tragedia, anche con persone apparentemente integrate, è una realtà diffusa. Situazioni in cui è difficile intervenire in tempo forse ci saranno sempre. Eppure non possiamo arrenderci.