"Senza ricerca non avremo vaccini. La liberalizzazione è solo uno slogan"

Lucia Aleotti (Menarini) smonta la condivisione dei brevetti: "Questo è il modo per frenare la scienza"

Lucia Aleotti, 55 anni, consigliere del cda di Menarini

Lucia Aleotti, 55 anni, consigliere del cda di Menarini

"No, noi non ci metteremmo comunque a produrre vaccini. Perché Menarini non violerebbe mai un brevetto. Sappiamo il valore, il costo e la fatica della ricerca, conosciamo i fallimenti e sappiamo quale sia la forza economica per ripartire. Quindi, per noi è impensabile rubare la proprietà intellettuale altrui". Lucia Aleotti, azionista, membro del cda e patron insieme al fratello Alberto Giovanni del Gruppo Menarini, spiega perché la liberalizzazione dei brevetti sui vaccini Covid, sia una strada non risolutiva. Con esiti che potrebbero portare esattamente all’opposto di quanto sperato. E uno dei primi rischi all’orizzonte è la contraffazione. Dottoressa Aleotti, perché è così contraria alla liberalizzazione dei brevetti?

"Io vorrei risolvere il problema della disponibilità dei vaccini. E, conoscendo questo settore, so che i problemi della moltiplicazione dei vaccini necessari al mondo intero, non vengono dalla proprietà intellettuale dei brevetti. Anzi, il brevetto è la spinta a farne sempre di più. Quello che servirebbe è incentivare ancora di più la ricerca pubblica e privata, in modo che si possano trovare vaccini sempre nuovi, anche per le varianti. Nella direzione contraria, i meccanismi si fermano".

Ma per produrne subito di più, cosa si dovrebbe fare?

"Affrontare problemi concreti come moltiplicare i luoghi e le capacità produttive. Ma anche sciogliere i nodi alla base, come la speculazione e la scarsità delle materie prime, delle strumentazioni e dei macchinari, quali per esempio i bioreattori. Questi sono i problemi veri. Dobbiamo parlare di questi e non fare finta di non vederli. Si rischia sennò di lanciare slogan, senza risolvere i colli di bottiglia e generare grossi rischi".

Ad esempio, quali rischi?

"Mettiamo che cominci a diventare più conveniente copiare invece che investire, e rischiare, nella ricerca. Finisce che se tutti copiano, nessuno trova più le soluzioni alle nuove varianti o alle nuove patologie".

Torniamo all’ipotetica liberalizzazione. Quanto tempo ci vuole per mettersi a produrre un vaccino?

"Intanto per costruire un nuovo stabilimento di vaccini servono dai 3 ai 4 anni. E quindi, immaginare che sia possibile partendo da zero, è assolutamente incoerente coi tempi della pandemia. Ma anche chi avesse già le strutture adatte, deve appunto trovare le materie prime. La federazione mondiale dell’industria farmaceutica ha fatto uno studio in cui evidenzia quanti siano gli “ingredienti” e i passaggi necessari a produrre un vaccino, spiegando quale sia la complessità nell’operazione. Poi c’è un altro problema, molto grave".

E cioè?

"Il rischio della contraffazione. Oggi sappiamo che i brevetti sono di certe aziende, che rispondono di ciò che fanno e aiutano a stoppare i falsi. Ma proviamo a immaginare cosa potrebbe succedere nel momento in cui non sia più controllabile la provenienza delle dosi. In alcuni paesi più poveri sono già stati fermati vaccini falsi, che contenevano acqua. Ecco, il rischio è di andare incontro al caos".