Il vaccino ReiThera rischia di finire in un cul de sac. Il siero italiano – una profilassi classica, a ’vettore virale’, come AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sputnik V – rischia infatti di essere travolto dalla scelta europea di privilegiare i più tecnologici e moderni vaccini a RNA messaggero che stanno performando meglio contro il Covid 19. Il vaccino usa una tecnica classica ed è stato sviluppato dalla società biotecnologica di Castel Romano e dall’Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma e usa l’adenovirus di un gorilla.
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Il siero è stato finanziato con 12 milioni di euro di risorse dell’azienda, 8 milioni della Regione Lazio e poi con 81 milioni di euro dello Stato, forniti da Invitalia: 41,2 milioni a fondo perduto, 7,8 di finanziamenti agevolati e per il resto l’acquisizione di una partecipazione pubblica al 30% nel capitale dell’azienda. Era un investimento strategico in capacità produttiva nazionale, per darci indipendenza. Ma potremmo avere scommesso sul cavallo sbagliato. Il vaccino di Reithera ha terminato con successo la fase 1 (45 volontari tra i 18 e i 55 anni e altrettanti tra i 65 e gli 85.) e adesso si trova da tre settimane in sperimentazione in fase due (su 900 volontari in 21 centri italiani e uno in Germania) che dovrebbe terminare a fine maggio. Dopodiché dovrebbe iniziare la fase tre, che coinvolgerà probabilmente migliaia di volontari, ma che ancora non è stata pianificata in dettaglio.
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L’obiettivo era arrivare tra settembre ed ottobre a chiedere all’Ema l’autorizzazione all’utilizzo, ma una certa difficoltà nel ricevere i fondi pubblici con ogni probabilità posticiperà la presentazione della richiesta, se la sperimentazione andrà come atteso, di un paio di mesi. Le minori disponibilità economiche rispetto ai giganti come Pfizer sono evidenti e anche per questo, tra l’altro, la produzione del vaccino non è ancora iniziata, a differenza di quanto fece proprio Pfizer nel 2020, che – rischiando cifre importanti – fece la scommessa di produrre il siero senza avere la certezza che fosse poi approvato dall’Ema.
Questo significa che il vaccino potrebbe arrivare nel primo trimestre del 2022. Troppo tardi, adesso che la scelta dell’Europa rischia di mettere fuori gioco i vaccini a vettore virale. Sarebbe una beffa, ma chi sostiene i vaccini tradizionali sottolinea che non è detto che sia una scelta saggia: se i danni dei vaccini a vettore virale (rari casi di trombosi in soggetti con poche piastrine) si vedono subito, quelli dei sieri a RNA messaggero potrebbero eventualmente sorgere nel lungo periodo anche se secondo l’Iss queste profilassi non sono pericolose perché non si integrano nel genoma dell’ospite, quindi non c’è il rischio di mutazioni a lungo termine nel DNA.
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