Ascoli Picchio, perché non giochi a calcio?

Terzo pareggio consecutivo che rende possibile la salvezza diretta solo in caso di filotto nelle ultime due partite

Giovanni Pinto (Ascoli Picchio)

Giovanni Pinto (Ascoli Picchio)

Ascoli, 5 maggio 2018 - "S'appuyer sur". "Bazeaza pe". "To Rely on". "Confiar en". Sono le traduzioni (più o meno funzionali) nelle varie lingue di provenienza degli stranieri che vestono la maglia dell'Ascoli Picchio del concetto di "affidarsi a". Affidarsi. A qualcuno o a qualcosa. Perché se affidarsi a se stessi partorisce il risultato che anche oggi va annotato sul taccuino, beh cari lettori e tifosi bianconeri preparate un carico di fazzoletti. Di quelli che servono per asciugare le lacrime. A chi affidarsi, se questa squadra non riesce a giocare a calcio nonostante mister Cosmi continui a sbraitare chiedendole di farlo durante i novanta minuti. Facciamo una piccola digressione tattica, ammesso che ci venga concesso. Raramente ci risulta di aver visto squadre non fortissime tecnicamente, cambiare i propri risultati in campo perché in panchina c'è uno che strilla forte "Gioca!", "Gioca!", "Gioca!". In genere quello che si vede in campo la domenica, il sabato o quando il ciel vuole che ci sia la partita, è il risultato di ciò che si prova, riprova, ri-riprova e si perfeziona in allenamento. E allora ci sorge un dubbio: dato che questa squadra, specie nelle ultime settimane, sta battendo il record europeo o forse mondiale di passaggi orizzontali o per dirla alla Zeman "non utili", cosa provano Cosmi, Bazzani e tutti quelli che Bellini paga per dare gioco, verve e risultati alla squadra, in settimana nel conclave vietato a tutti del Picchio Village? Gli unici due giocatori di questa formazione che quando hanno il pallone tra i piedi credono che il mondo bellissimo sia "davanti" e non "di lato" sono Lores Varela (eh, proprio lui, il bistrattato dribblomane maldigerito dalla piazza) e Kanouté. Almeno cinque, sei volte, l'uruguagio ha strappato tempi e palla all'Avellino. Poi ha alzato lo sguardo e fatto due conti. Una prateria, Monachello ingabbiato a centododici chilometri dalla porta dei "loro", nessun altro ad accompagnare. Il risultato? Quasi sempre palla persa dopo l'accerchiamento tranne in un'unica occasione con un tentativo da "cane sciolto", sventato dal portiere irpino. Perché Cosmi dice a questa squadra di giocare, ma l'Ascoli non gioca? E perché quando la classifica direbbe il contrario, l'Ascoli si accontenta del pareggio? Perché basta solo avere un po' di grinta (un po'!) come ha dimostrato di avere Giovanni "Joao" Pinto per essere utili alla causa di questa squadra? Badate bene, non è un gol o qualche prestazione tutta carattere a cambiare il valore del terzino sinistro ascolano. Pinto è un giocatore da sei in pagella, quando si impegna e come stavolta (e spesso) si rende utile con grinta e giocate semplici. Non mezzo voto in più, se parliamo di calcio di serie B. Eppure è utile, utilissimo. Perché questo campionato di serie B, specie in fondo, è fatto di tanti, troppi, giocatori così. Perché, allora, l'Ascoli nonostante i suoi tifosi la spingano oltre le più rosee aspettative in termini di presenza e volume, non gioca? Perché non aggredisce, specie al Del Duca? Perché si accontenta? Perché? Speriamo che ci sia una tabella magica stilata dal 24 Padella (che ultimamente - secondo quanto rivelato da Agazzi - fa il matematico, ma dovrebbe anche ricordarsi di accorciare sugli avversari sui cross dal lato debole) che prevede che con questi risultati l'Ascoli sia al sicuro da problemi di sorta. A 180 minuti dalla fine del campionato e con l'Ascoli che si accontenta di due pari in due scontri diretti, la classifica sembra dire tutt'altro. A meno che non ci sia la certezza che Pescara e Brescia frutteranno sei punti. E allora avete perso il vostro tempo a leggere le nostre nefandezze. Con sei punti nelle prossime due partite, l'Ascoli è salvo. Poco ma sicuro. Prima di chiudere, però, consentiteci una riflessione, arrivati a questo punto. Dato che se parliamo di tattica, tecnica, marcature, verticalizzazioni, sostituzioni, giocatori che fanno bene o male siamo nel campo dell'opinabile, ci piace rivolgerci al patron Bellini con un fatto. Che è inopinabile. Cavalier Bellini, si rende conto che ha speso, tra ingaggi, buone uscite, cartellini e commissioni, almeno tre milioni di euro per acquistare, dati alla mano ad oggi, due gol (glielo ripetiamo, due gol!) stagionali? Questo sono costati Ganz, Rosseti e la cacciata di Cacia. E lo sa che, fatta eccezione per Favilli (che era già promesso, se non venduto, già prima dell'infortunio), quest'anno quasi nessuno dei suoi giocatori le creerà plusvalenze? Ecco, se sulla tecnica e sulla tattica chiunque può raccontarle le favole che crede, di questi numeri dovrebbe darle qualche spiegazione. Perché se sulla tattica tutti possono avere ragione, sui soldi non si può mentire. E i soldi di cui sopra, li hanno fatti spendere a lei. Torniamo alla parola iniziale. Affidarsi. Cavalier Bellini, probabilmente sia a lei, che alla piazza, è rimasto solo che guardare in alto...