"Immergo Macbeth in una valle del male"

Jacopo Gassmann, al debutto della regia operistica, racconta l’allestimento per la nuova produzione, da stasera al Comunale Nouveau

"Immergo Macbeth in una valle del male"

"Immergo Macbeth in una valle del male"

Debutta questa sera al Comunale Nouveau (ore 20, con repliche fino al 18 aprile) la nuova produzione operistica del Teatro Comunale: ’Macbeth’ di Giuseppe Verdi, affidato all’appassionata bacchetta di Daniel Oren, con protagonisti vocali Roman Burdenko (Macbeth) ed Ekaterina Semenchuk (Lady Macbeth), debuttanti a Bologna, affiancati da Antonio Poli (Macduff) e Riccardo Fassi (Banco). Il nuovo allestimento è firmato da Jacopo Gassmann, che con questo spettacolo fa il suo primo ingresso nella regia operistica e al quale abbiamo chiesto perché un regista impegnato nel teatro contemporaneo si senta attratto dalla ‘vetusta’ opera lirica.

"Sono un frequentatore di opera dagli anni della formazione universitaria a New York, ma la scintilla è giunta più tardi, frequentando Luca Ronconi negli ultimi anni della sua vita: vedendo le mie prime regie, rilevò che utilizzavo lo spazio come pensiero critico, cosa che è più tipica dello spettacolo operistico che non della prosa. Mi porto dietro questa idea da allora, ed ecco giunta l’occasione per mettermi alla prova. Nell’opera – continua Gassmann – è richiesto al regista di essere portatore di un pensiero globale, il ‘concept’, che per me non può essere mai disgiunto dal nostro tempo: cosa può raccontare a noi oggi quella storia? Ma dal momento in cui si comincia poi a immaginare una scenografia, è con lo spazio che bisogna fare i conti, inteso in tutte le sue declinazioni, sia materiche sia luminose. In questo spettacolo utilizzo sipari neri o velati, posti a vari livelli, e carri che entrano lateralmente su binari (è Ronconi che riaffiora!); ma c’è anche un grande ledwall che genera un viaggio nell’inconscio dei due protagonisti, attraverso una ‘valle del perturbante’ (il luogo del ‘rimosso’), giù giù fino all’inabissamento nelle radici del male, in una carrellata visionaria dentro il museo degli orrori citati dalla storia dell’arte (e s’inizia con la Medusa del Caravaggio)".

"Abituato al mondo della prosa – riflette il regista – e a peripezie in teatri di qualunque formato, quando ho visto il palcoscenico anomalo del Comunale Nouveau non mi sono affatto spaventato per la mancanza della classica altezza scenica, pur spesso decisiva nello spettacolo d’opera, pensando immediatamente a una dimensione da cinemascope, sfruttabile in larghezza e profondità".

Dallo spazio al tempo: i diversi ritmi drammatici, fra teatro parlato e cantato, possono diventare un problema?

"Sono piuttosto uno stimolo affascinante. È chiaro che nella prosa l’attore e la parola sono decisivi; l’opera condensa necessariamente la parola e l’affida a un meraviglioso flusso irrazionale, ineffabile, inconscio, più emotivo, che è il flusso della musica".

’Macbeth’ è un titolo ideale per debuttare nell’opera?

"Per me sì, al di là del suo retroterra shakespeariano e a certa vicinanza al teatro di prosa, in quanto sonda temi che mi interessano e che offrono molti stimoli a un regista, più di tanti melodrammi forse più famosi. Ma sarei felicissimo di mettermi alla prova anche con altri titoli".

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