A testa in su sotto la finestra c’eravamo tutti

Gianmarco

Marchini

Nel campo di Sinisa non ci sono più le righe da tempo perché non c’è più un confine a separare la vita e il pallone. E’ tutto un lungo rettangolo dove rotolano gioie e dispiaceri. L’erba del Dall’Ara che sfuma nel grigio scuro dei sampietrini. E’ la chimica irrazionale che soltanto il calcio sa creare. Nick Hornby in ’Febbre a 90’ la spiegava così: "Dopo un po’ ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l’Arsenal fa schifo o viceversa".

Ecco, mercoledì sera, per un attimo, a Mihajlovic sarà sembrato di essere altrove, non in una stanza d’ospedale, perché il Bologna, il suo Bologna, gli ha regalato un’emozione forte. Battere l’Inter un po’ come metafora di sconfiggere qualcosa che sembra insuperabile. Gli hanno dato forza, i suoi ragazzi, in passato, e gliela stanno dando ancora. Come ieri, con quella splendida visita sotto la finestra del Sant’Orsola. Lo stupore, le battute, il coro intonato da Soriano e compagni. Costruzione di emozioni dal basso. Poi Sinisa che risponde con un "vi voglio bene" e si strofina gli occhi per resistere alle lacrime (senza riuscirci). Un incontro di cinque minuti durato un’eternità. Così come la distanza da quella finestra al terzo piano è sembrata una montagna di ottomila metri tanto era forte la voglia di abbracciarsi.

E’ la capacità dei sentimenti di dilatare lo spazio e il tempo. Sinisa ha girato il mondo prima di fermarsi a Bologna, ma sembra qui da sempre. E’ un bolognese doc, con tanto di certificato, quella cittadinanza onoraria ricevuta a novembre a Palazzo d’Accursio. Era elegantissimo quel giorno, Mihajlovic, accompagnato da una raggiante Arianna. Sorridevano come si sorride quando spunta l’arcobaleno dopo il più violento dei temporali. Sono tornate le nuvole, è ricominciato a piovere. Ma Bologna ha i portici. E presto o tardi dovrà pur smettere.

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