Addio a Steve Grossman, il jazzista che trovò New York a Bologna

Il sassofonista è morto a 69 anni. Sotto le Due Torri ha vissuto tanto tempo suonando nei club e creando allievi.

Migration

di Pierfrancesco Pacoda

A Bologna aveva trovato, era la fine degli anni ’80, la pace e la tranquillità della vita di quartiere, il Fossolo dove viveva, della quale aveva un disperato bisogno dopo una esistenza consumata a inseguire il fraseggio jazz perfetto in giro per il mondo. È scomparso a 69 anni il 13 agosto a New York, città dove era nato, Steve Grossman (nella foto con Alvin Queen), sassofonista che a soli 18 anni fu chiamato da Miles Davis a sostituire Wayne Shorter nel suo leggendario quintetto. Il risultato fu un disco capolavoro, A Tribute to Jack Johnson, prologo di una carriera che lo portò a suonare con la stella dell’hard bop Elvin Jones, e poi con Chet Baker con il quale condivideva anche l’appartamento nella metropoli americana. Poi, casuale, come spesso succede ai musicisti jazz che sono per vocazione nomadi, il trasferimento a Bologna che del jazz europeo è stata a lungo la capitale.

A volerlo sotto le Due Torri fu Alberto Alberti, l’inventore del Bologna Jazz Festival (dove Grossman si era esibito nel 1972 proprio con Elvin Jones) che lo convinse nel 1989 a rimanere qui, affiancandogli Sandro Berti Ceroni come manager. Il primo effetto di questa collaborazione fu la partecipazione nel 1990 alla rassegna JazBo con Steve Lacy e Art Taylor.

Qui affrontò e superò con successo, la prova più difficile della sua vita, la disintossicazione da droga e alcol; si esibiva regolarmente al Bravo Cafè, alla Cantina Bentivoglio e nei concerti per la posa delle stelle della Strada del Jazz. Aveva creato anche una sua piccola scuola privata alla quale si sono formati artisti come Valerio Pontrandolfo. Frequentava la vivacissima scena jazz bolognese e collaborava in maniera intensa in particolare con il sassofonista Piero Odorici. "Avere una personalità artistica come Steve Grossman a Bologna è stata una fortuna e un privilegio – dice Odorici –, siamo stati in tanti ad aver avuto la possibilità di imparare da lui. Era un musicista che, pur avendo fatto la storia del jazz, aveva una incredibile umiltà e generosità".

Era anche molto pigro, seguiva lontano dai clamori un blando ritmo quotidiano bolognese e si concedeva in concerto, specie se doveva viaggiare fuori città, con grande lentezza. Qui, nella sua riabilitazione, fu aiutato dal padre del suo manager, che era un medico, proprio come decenni prima era avvenuto con Chet Baker che a Bologna era stato accolto e aveva curato i suoi gravi problemi ai denti, grazie all’attenzione del dentista Francesco Lo Bianco, altro storico appassionato di jazz. "Era completamente disorganizzato – ricorda Odorici –. Non ha mai messo in piedi un suo gruppo, io cercavo di coinvolgerlo e di portarlo a suonare con me quando era possibile e quando lui ne aveva voglia". Mauro Felicori, oggi assessore alla cultura della Regione, lo ricorda così: "Steve a Bologna fece scuola a un gruppo di giovani che seppero distinguersi, Piero Odorici, Carlo Atti, Nicoletta Manzini. C’ero nel 1991 al Praga Cafè di via Toscana quando Sandro Berti Ceroni volle registrare lì un album di Grossman dal vivo". Da circa cinque anni, dopo la morte del padre, era tornato a New York e aveva smesso di suonare, tagliando anche ogni contatto con i suoi amici e colleghi bolognesi.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro