Antonioni: "Che bella Bologna, città sincera"

Il grande regista fu premiato dal sindaco Zangheri con l’Archiginnasio d’oro: il suo grazie in una lettera inedita al primo cittadino

Antonioni: "Che bella Bologna, città sincera"

Antonioni: "Che bella Bologna, città sincera"

Varni

È il 28 gennaio 1980 e il sindaco Renato Zangheri, dopo aver accolto nel salone gremito dello Stabat Mater, con partecipata emozione e profonda considerazione a nome della città tutta, un emozionato Michelangelo Antonioni, legge la dettagliata motivazione del massimo riconoscimento a lui destinato, l’Archiginnasio d’oro, che Bologna conferisce alle personalità particolarmente distintesi nei campi dell’arte e della scienza (già l’avevano ricevuto, tra gli altri, Giorgio Morandi, Riccardo Bacchelli, Cesare Gnudi, Giuseppe Raimondi).

E certo il regista ha già conseguito i più ambiti premi del panorama cinematografico mondiale dai festival prestigiosi di Venezia, Cannes, Berlino, Locarno, e proprio per questo il sindaco di questa sua ’seconda città’ (come egli stesso la definisce, lui ferrarese, per avervi studiato all’Alma Mater, laureandosi in economia con una tesi dal titolo ’Problemi di politica economica nei Promessi Sposi’), ripercorre con minuziosa precisione critica le tappe di una formazione in grado, uscendo dalla stagione neorealista divenuta inattuale, di cogliere proprio attraverso il linguaggio cinematografico il senso estraniante dei suoi tempi, documentandone “il male di vivere”, l’incomprensibilità e l’alienazione attraverso il succedersi delle immagini riportate dalla macchina da presa senza riuscire a dar loro un significato. Così – conclude il discorso – "il grande romanzo dei sentimenti e dei sintomi elaborato da Antonioni si fa documento vivo di una storia non ufficiale, che profondamente ci riguarda".

A questo punto a leggere la prolusione ufficiale è chiamato il grande critico Roland Barthes, che coglie nella personalità del regista i tratti più veri dell’artista: la vigilanza, la saggezza e soprattutto la fragilità, quest’ultima dovuta alla vertigine che prende appunto l’artista di fronte ai mutamenti del mondo, che sono poi i suoi stessi mutamenti. In una costante dolorosa ricerca di senso, che sfugge alle definite consuetudini del realismo.

Piena di dubbi sul valore effettivo del suo lavoro la risposta di Antonioni ai tanti elogi, preoccupato di essere "rimasto cieco alle cose del mondo per correre dietro alle proprie alienazioni".

L’omaggio della città si sarebbe concluso, la sera stessa, con l’inaugurazione, presente il regista, della rassegna organizzata dalla Cineteca ’Tutto Antonioni in tredici giorni’, con la proiezione di diciannove suoi film, da Gente del Po a Professione reporter nella sala del Tiffany, anche in questo caso ovviamente stracolma di pubblico entusiasta venuto ad applaudire il maestro.

Del resto di questo rapporto particolare esistente tra Bologna e Antonioni offre testimonianza, tra i numerosi documenti e ritagli di giornale conservati nella cartella dell’archivio della Cineteca dedicata all’evento, l’intervista fattagli da Dario Zanelli per il ’Carlino’, che ne intende cogliere proprio i legami con la città, risalenti innanzi tutto al periodo universitario di cui egli stesso ricorda sorridendo le serate gioiose trascorse nei locali del Lido di Casalecchio; ma pure possibili materia di realizzazione di un film, il cui soggetto (Le allegre ragazze del ‘24) era stato preparato insieme a Renzo Renzi, proprio "per essere la città così fotogenica", ma poi svanito ed ormai inesorabilmente invecchiato per i troppi mutamenti intervenuti, mentre l’occhio indagatore deve proiettarsi sempre, a suo modo d’intendere, nel futuro.

Ma è la lettera inedita che Antonioni invia al sindaco Zangheri il 19 febbraio ( giustificando e scusandosi per il ritardo) che meglio racchiude il senso profondo di quella giornata e il suo sentire l’anima stessa della città: "A Bologna è stato bellissimo. In vita mia ho ricevuto tanti premi e riconoscimenti e vinto festival, ma l’emozione di quella sera non l’avevo mai provata. Mi sembrava che ci fosse un’aria di schiettezza e di sincerità, oltre che di curiosità. Quest’ultima, sappiamo che in cerimonie del genere degrada a livello di mondanità e di pettegolezzo; delle prime due si è quasi perso traccia ovunque, nel mondo. Ritrovarmele a Bologna, che è la mia città elettiva, e ritrovarle dopo tanti anni di Roma, spesso della peggior Roma, è stato una choc, credimi. Ero disabituato agli choc positivi. Forse è anche la tradizione della tua città a dettare questo rispetto per la cultura. E certamente la presenza di Roland Barthes ha contribuito. Certo è che lo scenario, e il clima in cui era avvolto, erano stupendi".

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