BENEDETTA CUCCI
Cronaca

"Barbie diventa vera? Meglio icona eterea" Il saggio pionieristico del sociologo bolognese

Ivo Germano 23 anni fa scrisse sul "fascino irresistibile" della bambola: "Era un pretesto per analizzare il millennio in arrivo". Questa sera il film di Greta Gerwig è all’Arena Puccini. "Le mie coetanee ci vanno tutte in rosa. Il pop è già trasfigurato".

"Barbie diventa vera? Meglio icona eterea"  Il saggio pionieristico del sociologo bolognese

"Barbie diventa vera? Meglio icona eterea" Il saggio pionieristico del sociologo bolognese

di Benedetta Cucci

Quell’odore inconfondibile di plastica che emanava appena si apriva la scatola, la sua perfezione nell’eterno sorriso, i piedini in punta di dita pronti a calzare scarpine col tacco. Barbie, da gioco e icona pop eterea è diventata di carne e ossa nel film campione di incassi di Greta Gerwig, che questa sera sarà proiettato all’Arena Puccini. C’è chi dice no, però, alla materializzazione di un’icona pop.

È Ivo Stefano Germano, bolognese classe ’66, sociologo della comunicazione e dei media all’Università del Molise, che 23 anni fa analizzò la bambola delle bambole in un finissimo e rivoluzionario saggio, pubblicato da Castelvecchi: ’Barbie. Il fascino irresistibile di una bambola leggendaria’.

Germano, perché un libro sulla Barbie già nel 2000?

"Non c’è stato un motivo. È stato un atto d’amore sulla plastica, la materia di cui è fatta Barbie, che volevo analizzare in chiave avantpop. Tutte le forme di natura pop viaggiano nell’aria, la plastica è un prodotto etereo e anche Barbie lo è, non dobbiamo dimenticarcelo. E forse dovrebbe ritornare a esserlo. Tanto per iniziare a sottolineare la piccola pecca del film di cui tutti parlano e smaniano, per confermare di essere stati spettatori in presenza".

Lei Barbie l’ha invece usata come pretesto.

"Sì, certo, come marchingegno per capire, anticipare e comprendere dove stava andando la globalizzazione col nuovo millennio in arrivo".

Che responsabilità per Barbie!

"Volevo raccontare l’evoluzione di un’icona che non è solo un’icona, di una bambola che non è una bambola perché è una donna, e di come il secolo americano, di cui si parlava allora, si stesse trasfondendo su note globali".

Gli elementi significativi in Barbie?

"Innanzitutto la plastica, grande materiale del Ventesimo secolo, poi il suo essere star multimediale a metà strada di tutte le egemonie del Ventesimo secolo: moda, pubblicità, televisione. Fino alla rete. Mancava il cinema, ma la lacuna è stata colmata recentemente... Infine Barbie in sé era una certa idea di donna molto dibattuta, tra odio e amore, e quindi analizzavo il cambiamento nell’autorappresentazione e nella funzionalizzazione di Barbie. Favola infantile, mito, storyteller, per usare una parola che non mi piace".

Altro che gioco per bambine!

"Anche il film è per adulti. La cosa che mi ha impressionato è stato vedere al cinema le mie coetanee vestite da Barbie, sembravano dei cosplay di Lucca Comics. Camicetta rosa, birkie rosa, borsettina rosa, il trucco rosa. Io non ho visto molte ragazzine, ma mie coetanee che ’barbieggiavano’, tante".

Barbie come sinonimo di ’poco cervello’ ha perso vigore, le sue coetanee se ne fregano.

"Certo, come tutti gli oggetti pop viene trasfigurato. Come una cosa kitch di vent’anni fa che è diventata camp e va nei musei, così anche la personalità di Barbie che emerge dal film è stata trasfigurata, è molto lontana dalla bambolina bionda o mora che venne presentata a New York nel 1959. Oggi è un brand e il film è l’elegia pop della Mattel".

Se scrivesse oggi un libro su Barbie?

"Mi chiederei quanto può durare e resistere il passaggio di testimone da madri a figlie, ma anche da zie e cugine, rispetto a Barbie".

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