
Messaggi in codice ai boss al carcere della Dozza
Bologna, 3 giugno 2022 - Decine di messaggi e telefonate, a tutte le ore, senza remora alcuna. Nonostante chi le effettuasse si trovasse nel carcere della Dozza, per di più nel reparto di Alta sicurezza, quello in cui si trova chi sconta pene per reati legati all’associazione mafiosa. Così i "boss" della casa circondariale, quattro dei quali sono stati arrestati tre giorni fa dopo essere stati trovati in possesso di telefonini nascosti nelle celle, a seguito dell’indagine della Dda coordinata dal pm Roberto Ceroni e portata avanti da Squadra mobile e polizia penitenziaria, comunicavano serenamente con l’esterno.
Si passa da sms di ’ordinaria amministrazione’, in cui si informa la moglie del proprio stato di salute o degli acciacchi quotidiani, ma anche a telefonate ritenute sospette dagli inquirenti, che vogliono vederci chiaro.
Trenta gli indagati, quasi tutti volti noti di ’ndrangheta calabrese – da Antonino Pesce a Giuseppe Morabito, poi Orazio Lo Bianco, Giacomo Cichello –, camorra – Salvatore Rispoli, Enrico Palummo – e pure mafia nigeriana o dell’Est Europa.
"L’hai prenotata la cosa?" chiede la moglie di Donato Gangale al marito detenuto. Lui, già affiliato della ’ndrangheta di Crotone, le risponde: "Prenotala domattina, vedi di andare all’una e mezza... quando ti chiamano". Conversazioni criptiche e reticenti, su cui gli agenti dovranno fare luce. E ancora, Gangale chiede alla figlioletta se le è piaciuto "il cavallino arrivato in regalo", presumibilmente dal padre, che però è appunto detenuto. In un’altra conversazione, avverte la moglie che si possono sentire quando vogliono, perché "si è fatto prestare da un amico" (il cellulare), e poco più tardi aggiunge che potrebbe arrivare alla donna "un’altra scheda", affermazione alla quale lei risponde di avere capito, ma di essere preoccupata che il marito combini "qualche pasticcio", dato che l’ha chiamata prima un’altra persona che le ha riferito di avere "parlato con l’avvocato di Roma". Insomma, conversazioni che lasciano intendere ci sia altro, un substrato non immediatamente intuibile. Grazie al quale i boss potrebbero essere riusciti a continuare a influire sulla criminalità organizzata anche dal carcere.
Le telefonate intercettate, poi, non si fermano qui. Già, perché da dietro le sbarre c’è anche chi si attrezza per "denunciare il carcere di Bologna": è Salvatore Rispoli, condannato per omicidio doloso e detenzione abusiva d’armi, poi furti, rapine e ricettazione, in attività legate alla camorra. "Devo fare una denuncia al carcere di Bologna, chiama il mio avvocato", intima alla consorte per telefono, perché, afferma, non riceve le adeguate medicazioni dopo un intervento; lui provvederà a fare una denuncia "dall’interno, all’area sanitaria"; un problema già riscontrato, del resto, "a Secondigliano".
La maxi indagine ha portato all’arresto di quattro detenuti e di un dipendente della ditta che gestiva il sopravvitto della Dozza (il ’market’ riservato ai carcerati), che durante la perquisizione di tre giorni fa è stato trovato in possesso di quattro telefonini e di diversa sostanza stupefacente: per lui è stata disposta la custodia cautelare in carcere, sempre alla Dozza. Dei 13 cellulari trovati in totale dagli agenti, tre si trovavano in aree comuni e sei erano nelle mani dei detenuti poi arrestati (alcuni ne avevano due). Sono stati trovati anche caricabatterie modificati, a cui era stato tagliato l’attacco finale per poterli attaccare direttamente ai fili della luce o sfruttando il polo positivo e negativo del televisore.