Carlo Lucarelli: "Io a Bologna amo perdermi"

Lo scrittore è l'ospite della newsletter di oggi e parla del suo rapporto con la città. "È a misura d’uomo ma dietro si può nascondere qualcosa che fa paura"

Carlo Lucarelli

Carlo Lucarelli

Bologna, 12 marzo 2021 - È una Bologna quasi tridimensionale quella che scivola sotto gli occhi di Carlo Lucarelli ogni volta che da Mordano arriva in città. C’è la Bologna di oggi, quella dark, set naturale di Coliandro , e quella che affiora dal passato. Forse anche per questo "quando vengo a Bologna mi perdo", confessa lo scrittore, ora papà alle prese con la dad.

Lucarelli, com’è la vita in zona rossa? "La vivo bene, ma so di essere un privilegiato: sono in smart working da sempre, vivo in campagna e non mi lamento. Naturalmente su 4 computer, proprio ora due si sono rotti e gli altri sono espropriati dalle mie figlie. In generale ho visto una buona risposta della gente, anche come regione, siamo più bravi di come ci dipingono. Ma c’è una cosa".

Quale? "L’unica paura è quella di abituarsi alla paura. Dopo un po’ che vivi nell’emergenza ti abitui: molte trasgressioni non c’erano nel primo lockdown, perché c’era la paura di qualcosa che non conoscevamo. Quando conosci quello che temi, invece, poi ci convivi e non è una bella cosa perché si diventa più deboli".

Sta andando in onda su Sky Arte la sua ultima serie, ’In compagnia del lupo’. Neppure le favole sono più rassicuranti al giorno d’oggi? "Il lato horror delle favole è sdoganato da tempo, ma l’idea era raccontare tutto il resto. Le si leggeva ai bambini soprattutto per educarli con una pedagogia terrorista, ma in realtà raccontano tanto altro: ad esempio del tempo in cui sono state scritte, nonché qualcosa di universale".

Intanto c’è attesa per l’ottava stagione di ’Coliandro’. "La stanno montando e presto uscirà: come dico sempre, Coliandro ha degli ultras e con Giampiero Rigosi stiamo già pensando ad altre puntate. Anche di altre serie, sempre di genere poliziesco. Io poi ho in gestazione due progetti: un romanzo con Grazia Negro nella Bologna contemporanea e un altro ambientato durante il Fascismo".

Le vicende dell’ispettore hanno cambiato il rapporto fra Bologna e i set? "Bologna era un set naturale da tempo, ma in tv non si era mai vista molto. Ricordo i tempi di Sarti Antonio, ma c’era stata un po’ di ritrosia della città a farsi vedere in un certo modo. Coliandro è strettamente legato a Bologna, che non è solo sfondo, ma personaggio. Pensiamo ai portici: proteggono, ma nascondono. Quelli che salgono fino a San Luca sono anche inquietanti".

C’è un’anima dark. "Bologna è così: è la bella città a misura d’uomo, ma dietro ci puoi nascondere qualcosa che fa paura. In verità siamo autorizzati dalla cronaca a raccontare: processo Aemilia, 2 Agosto, Uno Bianca…".

Ma si vive così bene davvero sotto le Torri? "Io arrivo e mi perdo, scopro degli angoli…".

Ad esempio? "L’angolino di via Piella fu una rivelazione. Ma anche il centro che cambia continuamente, le strade in periferia allo stesso tempo popolari, di nuova immigrazione e con campus all’americana. Ma la città che fa parte del mio immaginario è quella di Tondelli, quando diceva che siamo gente che lavora a Bologna, va a dormire a Modena e ballare a Rimini. Ecco, quando dico Bologna, io penso all’Emilia-Romagna, una città allargata. Per questo riusciamo ad ambientare qui fiction come Coliandro ".

E i difetti? "Bologna è la città più bella del mondo, lo dico anche a mia moglie americana. Potrebbe essere più stimolante, fare più rete. Abbiamo tanti spazi ed energie: cerchiamo di metterle insieme in modo più organizzato. Ma vedo un cambiamento fra la città dei sogni nostri, che magari non c’è mai stata, e quella sintetizzata a suo tempo dalla commissaria Cancellieri. Mi disse: ‘Sono venuta a Bologna pensando che fosse un fiore e scopro una città sporca, cupa. Com’è che non le vuole più bene nessuno?’. Abbiamo superato quel periodo lì: ma vogliamole ancora più bene".  

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