di Valentina Bonelli
Nell’attesa della quarta edizione di Danza con me, il programma di Roberto Bolle che il 1° gennaio in prima serata apre il palinsesto 2021 di Rai1, i riflettori si accendono su un ospite legato a Bologna. È Carlos Kamizele, trentadue anni, originario del Congo, ballerino e insegnante di hip-hop nella nostra città, dove è apparso nelle manifestazioni del Comune DancinBo, Bologna Estate e Dance hip-hop project, ideate da Vittoria Cappelli e Monica Ratti. Nello show Carlos danza un brano che invita a riflettere sul tema della discriminazione e dell’integrazione.
Carlos, ci anticipa la sua performance?
"È un brano voluto da Bolle sull’onda del movimento Black Lives Matter e i tragici fatti razzisti di quest’anno. Un momento molto intenso: Bolle si ferma e si siede di fronte a me che danzo mentre il rapper Ghali recita una poesia dell’attivista Maya Angelou, I Still I Rise. Ho coreografato i suoi versi, senza musica, poetici ma anche molto diretti: sono le parole rivolte da un afroamericano a chi discrimina. Parole che conosco bene, che raccontano anche la mia quotidianità".
Che stile di danza ha scelto?
"Ho messo in gesti il senso di quelle parole così come il ritmo, la scansione del respiro di Ghali. Lo faccio nel mio stile: un hip-hop dalla forte base afro, dove il gesto deve interpretare ed emozionare. È come se il mio corpo parlasse, raccontando la dolcezza e la rabbia di parole che anch’io ho vissuto".
Vive il razzismo su se stesso?
"In Italia è stato fatto tanto ma tanto resta ancora da fare. Il problema è l’ignoranza: bisogna educare, sin da bambini, a una società inclusiva. Sì, io stesso sento il peso del razzismo, non quando ballo nel mio ambiente, dove ho il rispetto degli altri. Ma altrove mi capita ancora di avvertirlo".
Lei come lo combatte?
"Per esempio invitando i miei allievi, molti immigrati, a credere nella nostra identità, cercando di costruirci un futuro. Capiterà che ci facciano del male, ma sentiremo solo piccoli graffi".
Dove ha imparato a danzare?
"Fino a 8 anni ho vissuto in Congo: là a quell’età non si è più bambini. Già da piccolo mi affascinavano le danze rituali africane, ma anche le danze commerciali che si vedevano in tv, i videoclip di Michael Jackson per esempio. Mi piaceva esibirmi danzando, ma ero anche sportivo e giocavo a calcio".
E in Italia?
"La mia adolescenza non è stata facile: ho vissuto in istituti religiosi e in case famiglia, avevo iniziato a lavorare come cuoco a 14 anni, ma la passione per la danza era rimasta. A 15 anni ho scoperto l’hip-hop a un contest a Ravenna e l’ho iniziato a studiare con Kris, cioè Cristiano Buzzi, che oggi dirige con me la nostra scuola di Bologna, CK Hip Hop School. Sì, posso dire che la danza mi abbia salvato, come i compagni e gli insegnanti. Determinante è stato il mio impegno: ho visto che potevo farcela, che vincevo i contest e mi sono speso totalmente. Passione più sopravvivenza: la formula per riuscire e trasformare la danza nella mia professione".
Come Bolle ha ricordato presentando ‘Danza con me’, lei non ha ancora la cittadinanza italiana, vero?
"Sì, dipende principalmente da complicate questioni burocratiche riguardanti la Repubblica Democratica del Congo. Ma è un fatto che mi amareggia, considerando che ho rappresentato tante volte l’Italia all’estero nei campionati di hip-hop, vincendo anche, che ho una moglie italiana e due bambini italiani di 6 e 2 anni. Detto questo, come tutti gli africani sento fortissime le mie radici, nel bene e nel male, benché non sia mai più riuscito a tornare in Congo. Proprio per questo mio senso di identità ho voluto studiare altre danze africane, che mixo con il mio hip-hop".
Che aspettative ha per la sua partecipazione a ‘Danza con me’?
"Sono molto emozionato. Devo ringraziare Roberto Bolle per avermi scelto, per aver ascoltato la mia storia. E ringrazio Ghali per aver interpretato la poesia, permettendomi di trovare la chiave per danzarla. Al di là del mio successo personale, che due minuti di danza forse non mi daranno, mi aspetto un momento di riflessione nelle case e un’accoglienza empatica da parte dei telespettatori. O per dirla alla maniera street: che si gasino tutti!".