Caruso: "Lascio un tribunale snello E l’ex Maternità è stata un affare"

Il presidente va in pensione. Sulla riforma della magistratura. è netto: "I colleghi . fanno bene a scioperare"

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Dopo 42 anni, il presidente del tribunale Francesco Caruso è pronto a deporre in armadio la toga. Va in pensione, ma non certo "a fare il nonno, anche se i miei nipoti mi sono simpatici", scherza. In attesa di un sostituto, sarà Alberto Ziroldi il reggente. Il presidente Caruso, nel salutare la città, ripercorre una carriera, costellata da grandi processi, che hanno cambiato il sentire comune. Da quelli sulle stragi di Palermo al delitto Aldrovandi, dalla ’ndrangheta di Aemilia ("un processo molto impegnativo", racconta) all’ultima ‘fatica’, il nuovo processo sulla strage del 2 agosto, conclusosi pochi giorni fa con la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini. Un processo che terrà ancora il presidente impegnato, nella stesura, assieme al collega Cenni, delle motivazioni: "Ed è adesso – dice – che viene il difficile". In questi anni alla guida del tribunale, Caruso ha sovrinteso a importanti cambiamenti. "Credo di lasciare un tribunale ben organizzato – spiega –: adesso abbiamo l’ispezione e stanno trovando numeri buoni, siamo fra i tribunali con minore arretrato e minori pendenze d’Italia, e puntiamo ad arrivare al livello dei migliori d’Europa in tre anni". Certo, qualche ombra rimane, come "il problema della protezione internazionale, che qui è presente in misura maggiore e il fatto che siamo sottodimensionati, con gli sforzi che ho fatto per avere maggiori aumenti di organico, accolti in parte".

Caruso rivendica anche la sua battaglia per portare il polo penale all’ex Maternità di via D’Azeglio, un’operazione "a costo minimo rispetto al guadagno: a fronte di una spesa di 850mila euro ora abbiamo un palazzo nuovo e abbiamo eliminato 700mila euro di affitti. Questo, in attesa che si concluda nel più breve tempo possibile il polo giudiziario alla Staveco". Sulla riforma della giustizia del Governo Draghi, Caruso commenta: "credo meriti la protesta dei magistrati: se si fa un ordinamento che, con la giusta esigenza di penalizzare demeriti e inefficienze, mette il giudice in condizione di dover agire non per fare giustizia, ma per tutelare un suo interesse personale di carriera ed evitare rischi, torniamo alla ‘giustizia dei potenti’, con il giudice che starà sempre dalla parte di chi lo fa stare tranquillo".

n. t.

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