Garaicoa: "Ecco la mia rete di colori"

L’artista cubano inaugura l’installazione al San Filippo Neri per ‘Art City’: "Questo posto unico mi ha ispirato"

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di Benedetta Cucci

Cosa ha provato Carlos Garaicoa la prima volta che ha varcato la soglia dell’Oratorio di San Filippo Neri? Probabilmente quello che prova chiunque, entrando nella chiesa tardo barocca di via Manzoni che durante la Seconda guerra mondiale venne bombardata, poi ricostruita in parte, e infine restaurata definitivamente nelle volte e nella cupola nel 1997 da Pier Luigi Cervellati. Ma l’artista cubano classe 1967, da tempo residente a Madrid, che esplora le società attraverso un approccio con gli ambienti urbani e l’arte e una declinazione multi-disciplinare, quando è entrato ha visto oltre ed è nata l’installazione site specific curata da Maura Pozzati, che si inaugura oggi alle 17, nell’ambito di Art City.

Come è nata l’installazione?

"Questo posto così ricco di storia dell’arte mi ha lanciato una sfida molto forte, perché ho dovuto mettere a confronto un pensiero contemporaneo con una storia del genere. Ammetto che l’Oratorio mi ha parlato tantissimo. Di architettura, storia, restauro contemporaneo di fronte a un momento di violenza della storia dell’Europa, ma anche di musica, con l’organo. Durante la prima visita a settembre mi è stato tutto chiaro: non sarei stato didascalico e avrei lavorato apertamente sull’invenzione. Poi ho parlato con il compositore Esteban Puebla, per attivare tutta la tradizione del luogo, e lui, appassionato di organo, ha fatto la musica".

Per raccontare costruzione, decostruzione e nuova costruzione, ha trovato un materiale molto particolare che evoca qualcosa in tutti noi: la rete per i ponteggi in tanti colori.

"Beh, è il materiale che più si avvicina al pensiero contemporaneo, questa rete tanto comune che consideriamo quasi volgare perché la vediamo sempre sulle impalcature. Ma mi sono chiesto come poter trasformare questo materiale e farlo diventare scultura, una cosa speciale, bella… Volevo del colore e ho fatto tanto lavoro sulla luce, che è tipico della mia modalità. Con questa installazione sono tornato alla radice dei miei interessi, della mia ricerca, anche sulla video-installazione con Pablo Calatayud: Oratorio".

Ora c’è una parte di mondo vicino completamente distrutto, l’Ucraina, che dovrà essere ricostruita. L’Oratorio le ha risuonato maggiormente come architettura ferita?

"Lavoro da sempre con l’architettura in rovina, la mia fotografia ne è piena. Penso anche alla mia terra, Cuba, che ha una storia abbastanza tragica politicamente ed economicamente: questo si riflette nell’architettura sofferente de l’Avana, senza guerra intesa come conflitto bellico, ma di altro tipo. La riflessione, oggi, è molto presente nella fotografia in generale. Anni fa sono stato a Donetsk, dove ho fatto un lavoro sul luogo che oggi è il punto di riferimento del Donbass e della guerra".

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