Gian Luca Giulietti morto di Coronavirus, la compagna. "Continuo ad ascoltare la sua voce"

Manola Bozzelli, compagna dell'ottico di via Clavature: "Nel suo ultimo messaggio ci diceva che sarebbe tornato a casa presto"

Gian Luca Giulietti con la compagna Manola Bozzelli

Gian Luca Giulietti con la compagna Manola Bozzelli

Bologna, 4 aprile 2020 - L’ultima goccia è stata un’emorragia interna. Ma il calvario di Gian Luca Giulietti, l’ottico di via Clavature ucciso lo scorso primo aprile dal Covid-19, era iniziato tre settimane prima, da una febbre alta. "Io e Gian Luca ci siamo visti l’ultima volta il 6 marzo – racconta la compagna, Manola Bozzelli –. Dovevamo vederci anche la sera dopo, ma lui non si sentiva bene. È stato quello l’inizio".

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L’inizio di una tragica odissea, conclusasi nel più drammatico dei modi al reparto di terapia intensiva del Sant’Orsola. Giulietti, con la febbre alta, si era rivolto al suo medico di base che gli aveva, in un primo momento, prescritto della tachipirina. La febbre, però, non scendeva. E così il medico aveva prescritto un antibiotico. Ma quella di Giulietti non era una febbre normale. Soltanto dopo una settimana, completamente spossato, Giulietti era stato accompagnato in ambulanza al Maggiore.

"Ho chiamato io l’ambulanza – dice ancora la compagna – e lui, pure così fragile, mi ha ringraziato. Perché Gian Luca era così. Metteva sempre prima di sé gli altri". Al Maggiore le condizioni di Giulietti si erano stabilizzate, tanto che ne era stato disposto il trasferimento al Bellaria, dove avevano tentato di stubarlo. Ma non era andata bene. E gli avevano praticato una tracheostomia, senza però ottenere miglioramenti. Per cui Giulietti era stato di nuovo trasferito, questa volta al Sant’Orsola, e attaccato alla macchina per la respirazione extracorporea. Il suo fisico era fortemente debilitato quando è sopraggiunta una gastrite che è degenerata, per effetto dei farmaci anticoagulanti, in una emorragia interna che lo ha ucciso.

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«Non essergli potuta stare accanto – dice ancora Manola – è stato uno strazio nel dolore lancinante della sua morte. Io e i miei figli, per cui lui in questi anni è stato un papà, continuiamo ad ascoltare quel messaggio vocale che ci ha mandato il giorno prima di essere ricoverato. Diceva di stare tranquilli, perché sarebbe tornato presto e avremmo ricominciato a divertirci insieme. Aveva dovuto rinunciare al viaggio in Africa, doveva partire il 14, il giorno del ricovero. A volte penso che se fosse partito un mese prima, adesso sarebbe ancora con noi. Con me".  

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