AMALIA APICELLA
Cronaca

Gianluca Gotto, scrittore errante: "Ma la felicità è smettere di fuggire"

L’autore presenta l’ultimo romanzo ’Verrà l’alba, starai bene’ (in cima alle classifiche) domani all’Ambasciatori

Gianluca Gotto, 35 anni, è nato a Torino per poi trasferirsi in Australia

Gianluca Gotto, 35 anni, è nato a Torino per poi trasferirsi in Australia

Gianluca Gotto è nato a Torino 35 anni fa. Appena ventenne parte per l’Australia, poi per il Canada e oggi è un nomade digitale: scrive articoli e libri mentre viaggia per il mondo con la compagna e la figlia. Il suo Verrà l’alba, starai bene (Mondadori) è in cima alle classifiche. Mezzo milione di follower su Instagram e un blog, Mangia Vivi Viaggia, in cui pubblica le tappe del suo cammino, i racconti di crescita personale e le storie di chi, come lui, ha voluto cambiare vita. Domani alle 18,30 l’autore presenta il romanzo alle Librerie.coop Ambasciatori.

Gotto, cosa l’ha spinta a scrivere questo romanzo?

"Volevo raccontare quelli che sono i ’mostri invisibili e silenziosi’ del nostro tempo. Viviamo in un’epoca di abbondanza, ma non stiamo poi così bene. Mi capita spesso di fermarmi a parlare con le persone dopo le presentazioni e da questi scambi emerge un malessere diffuso".

Quali sarebbero i ’mostri’ del nostro tempo?

"Lo stress è il primo, da cui derivano tantissime forme di disagio: perfezionismo, competitività, ossessioni legate al corpo, alla salute, all’attività fisica. Ci si sente incompresi, soli nel proprio dolore".

Disagi di cui soffre Veronica, lavoratrice instancabile, protagonista del romanzo...

"Sì. Non volevo fosse un uomo, perché la narrazione maschile del lavoratore stressato e in perenne competizione è già stata affrontata e spesso in modo stereotipato".

La sua esperienza personale ha influenzato la costruzione del personaggio?

"Quando scrivi un romanzo, qualcosa di tuo inevitabilmente finisce nella storia".

Per esempio?

"Si intuisce dall’inizio del romanzo che Veronica è una donna in fuga: sta scappando da un dolore, da una vita che l’ha ferita. Anche io, in passato, ho lasciato Torino – città che amavo – perché avevo bisogno di scappare. Non volevo soffermarmi troppo sul mio passato".

Che messaggio intende veicolare ai lettori?

"Mi piacerebbe che lettrici e lettori capissero che per stare bene non serve fare qualcosa di straordinario. Il vero benessere è qualcosa che si costruisce giorno per giorno. È un processo lento, ma autentico. La possibilità di una rinascita, di una vita piena, è interiore e parte da ciò che siamo".

E lei è riuscito a raggiungere il suo benessere?

"Credo di aver trovato un equilibrio. Ho vissuto un intero decennio alla ricerca della felicità, tra i 20 e i 30 anni. Pensiamo che il benessere si manifesti quando la vita ci restituisce ciò che desideriamo. Così scambiamo la felicità per una forma di successo personale".

Quando ha capito che non corrispondevano?

"Ho attraversato una difficile che, per quanto dolorosa, mi ha aperto gli occhi: i momenti di ’felicità’ legati al successo non bastano. Esiste un benessere più profondo, interiore, che non dipende dai risultati. Una rivoluzione personale che ho raggiunto grazie al buddismo".

La famiglia come accolse la sua partenza?

"Non è stato semplice. I genitori hanno sempre un piano per i propri figli. Siamo educati a seguire dei binari ben tracciati. Ho cambiato molti lavori per sopravvivere – cameriere, operaio, panettiere, pizzaiolo, commesso –, e questo ha generato frustrazione nella mia famiglia. Oggi mi rendo conto sia stato un gesto di protezione e d’amore da parte loro, ma forse mal indirizzato".