
Angela Querzé, madre di Sofia Stefani, con i legali Andrea Speranzoni e Lisa Baravelli
"Pensavamo che Sofia fosse al sicuro. Gualandi aveva un ruolo importante nella società, e l’ha violato anche eticamente. Era un bugiardo manipolatore. Voglio per Sofia verità e giustizia". Così, tra le lacrime, la madre di Sofia Stefani, Angela Querzè, commenta l’inizio del processo a Giampiero Gualandi, 63 anni, l’ex comandante della polizia locale di Anzola che a maggio 2024 sparò con la pistola d’ordinanza, nel suo ufficio, alla collega ed amante Sofia Stefani, di 30 anni più giovane. Accanto ad Angela, il marito Bruno scuote la testa: "Non riesco a reggere questa situazione, non riesco a ragionare, sono nel pallone", dice.
Gualandi non si è presentato all’apertura del processo a suo carico. È accusato di omicidio aggravato da futili motivi e legame affettivo con la vittima. Per prima cosa, si sono costituite le parti civili: i genitori di Sofia, rappresentati dall’avvocato Andrea Speranzoni ("Gualandi ha manipolato Sofia sfruttando il proprio ruolo di vicecomandante mentre lei era una poliziotta precaria, e mentendole costantemente sulle sue condizioni e il suo futuro lavorativo – attacca l’avvocato –. La loro relazione era ancora in corso quando l’ha uccisa, come provano gli stessi sms che si scambiarono poco prima del delitto"); poi il fidanzato della ragazza e suo convivente da 13 anni, Stefano Guidotti, con l’avvocato Lisa Baravelli ("Soffro perché quell’uomo si è approfittato delle fragilità di Sofia per il proprio tornaconto. Anziché aiutarla, alla fine l’ha uccisa: questo è sconvolgente e avvilente dal punto di vista morale", si rammarica Stefano fuori dall’aula); e il sindaco di Anzola, Paolo Iovino (del resto, il Comune era di fatto datore di lavoro di Gualandi), con l’avvocato Andrea Gaddari. Rigettate dalla Corte d’assise invece le costituzioni di cinque associazioni contro la violenza di genere. "Non si è trattato di un femminicidio – ha infatti sancito il presidente della Corte, Pasquale Liccardo –. Questo delitto, stando all’imputazione, non ha i tratti di manipolazione, prevaricazione e lesione della sfera di autodeterminazione della donna che caratterizzano quel tipo di omicidio".
L’ex comandante è difeso dagli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, che hanno subito dato battaglia. Dapprima opponendosi a loro volta alla costituzione delle associazioni – "Non ci fu da parte di Gualandi alcuna sopraffazione della vittima, né mise in atto dinamiche di possesso su di lei, semmai il contrario: lei lo perseguitava perché non si rassegnava alla fine della loro storia", spiega Valgimigli – poi chiedendo la nullità del decreto di giudizio immediato per il loro assistito (strumento che a fronte di gravi indizi di colpevolezza fa balzare direttamente a dibattimento, senza udienza preliminare), sulla base di una "violazione del suo diritto di difesa", perché quando fu interrogato dal gip gran parte delle prove contro di lui non era ancora emersa e dunque non poté confutarle, dicono.
I legali hanno chiesto infine di riqualificare l’accusa a Gualandi in omicidio colposo o almeno preterintenzionale o intenzionale non aggravato. Ipotesi che, se fossero state accolte, gli avrebbero aperto la possibilità di accedere a un rito alternativo come l’abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Ma nulla da fare: istanze respinte dai giudici, dopo un’accorata opposizione della procuratrice aggiunta Lucia Russo.