REDAZIONE BOLOGNA

"Memorie dal Terzo Reich: la storia di Albert Speer"

Vanessa Lapa racconta il lavoro molto complesso che ha portato al film. L’architetto di Hitler al centro della pellicola che Stanley Kubrick non volle fare.

di Benedetta Cucci

È un film documentario molto complesso, che ha avuto una lavorazione lunga un lustro, Speer goes to Hollywood di Vanessa Lapa, che sarà mostrato alle 18 all’Odeon. Perché riscrive la storia di Albert Speer (nella foto), architetto del Terzo Reich e stretto collaboratore di Hitler, (soprannominato "il nazista buono", perché risparmiato dalla condanna a morte), attraverso 50 ore di conversazione tra Speer e Andrew Birkin, (allora 26 anni e protetto di Stanley Kubrick, oggi regista) che dovevano diventare una sceneggiatura di un film Paramount tratto dalle memorie del nazista, con la direzione di Kubrick o Carol Reed. Ma il progetto non andò in porto, perché i due registi non trovarono convincente il personaggio. Vanessa Lapa, giornalista e regista, ha deciso di immergersi in questa storia e farne un film che riscrive un capitolo terrificante del Novecento.

Lapa, il film nasce da un lungo e complesso lavoro di ricerca in giro per il mondo, con un solo punto di partenza certo: questa registrazione. Perché ha accettato la sfida?

"Quello che ha innescato la mia curiosità è l’importanza storica di qualcosa che in moltissimi non conoscono, perché non ne hanno mai sentito parlare. In me è nata la responsabilità di renderlo noto, lavorarci e condividerlo. Certo è più facile trattare personaggi che hanno cambiato il mondo positivamente che negativamente, perché passi tanto tempo a contatto con il lato cattivo della psiche".

Come è arrivata a questo materiale?

"Nel mio film precedente mi sono occupata di Himmler, The Decent One, e alla prima presentazione si fece avanti un uomo che mi chiese se avessi mai sentito parlare di Albert Speer, perché lui, negli anni Settanta, aveva acquistato in Inghilterra i diritti della sua biografia Memorie del Terzo Reich, che aveva proposto alla Paramount per farne un film. Successivamente era stato cercato uno sceneggiatore, Andrew Birkin, che aveva passato 5 mesi con Speer a Heidelberg, ma il film non venne mai fatto e lui era estremamente curioso di sapere che fine avessero fatto le registrazioni. Così mi diede il contatto con Birkin, lo incontrai, vidi il materiale in una giornata ed ebbi la certezza che bisognava farci qualcosa, anche se l’audio era molto rovinato. Ho viaggiato tanto in cerca di filmati mai visti, tra archivi pubblici e di famiglia".

Quanto è stato duro confrontarsi giornalmente con questa personalità?

"È stato molto duro, ma per far capire quale manipolatore sia stato Speer, bisognava farlo. È un messaggio universale, perché non bisogna mai credere ciecamente a quello che sentiamo, ma andare in profondità".