"Non perdono chi ha tolto la scorta a Marco" Il j’accuse di Marina Biagi scuote le istituzioni

La vedova parla a Montecitorio: "Mio marito sapeva di essere un bersaglio, lo Stato gli negò protezione". L’ex ministro Scajola: "Non fu colpa mia"

"È imperdonabile. Questo non lo avevo scritto, ma lo dico: è imperdonabile". Parla a braccio, Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi. Il dolore, anche a vent’anni di distanza, non si può cancellare, e vale bene un fuori programma rispetto al testo scritto per la “Giornata in memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi“, celebrata ieri a Montecitorio.

Il marito, giuslavorista, 51 anni, fu ucciso dalle Nuove Brigate Rosse a Bologna, in via Valdonica, il 19 marzo 2002: da pochi mesi a Biagi era stata tolta la scorta, nonostante non fossero ancora stati identificati i terroristi che avevano assassinato, tre anni prima, Massimo D’Antona.

Il professore era stato scelto come "bersaglio" per il ruolo di consigliere del Ministro del Lavoro, Roberto Maroni, e del Presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, e come membro della Commissione che studiava la riforma del mercato del lavoro. "I Servizi lo segnalarono come persona ad alto rischio – ricorda la Orlandi –. Gli venne assegnata una scorta, che sciaguratamente gli fu tolta nel 2001. Era il coordinatore del Libro Bianco, da discutere con le parti sociali, per migliorare il mercato del lavoro. L’accesissimo dibattito aveva reso rovente il clima". Biagi, ha proseguito la vedova, "si riteneva un servitore dello Stato e non di una parte politica, voleva migliorare con i fatti le condizioni di lavoro dei più deboli, mettendo da parte il fondamentalismo che anche oggi è una zavorra. Cercava la mediazione e, per questo, ne è rimasto vittima". Ad ascoltarla c’è anche Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica.

Poi, il passaggio più duro. Nelle settimane precedenti all’agguato, ricorda la vedova, "Marco si sentiva più in pericolo e temeva per la sua vita", tanto da scrivere alcune missive a politici e istituzioni, chiedendo di ripristinare la protezione. "La risposta di chi stava ai vertici delle istituzioni e avrebbe dovuto proteggerlo fu che non esisteva il pericolo delle Brigate rosse. Questo è imperdonabile", ribadisce Marina Orlandi. Le stesse Br, del resto, rivelarono che la scelta dell’obiettivo era ricaduta su Biagi anche perché scarsamente protetto: "Se avesse avuto la scorta, non saremmo riusciti a ucciderlo", confessò Cinzia Banelli, componente del commando brigatista che oggi vive in una località protetta come collaboratrice di giustizia.

Parole pesanti, quelle di Marina Orlandi, che scuotono anche Claudio Scajola. Era lui il ministro dell’Interno quel 19 marzo di vent’anni fa; lui che si dimise a seguito delle polemiche e di quella frase riportata da alcuni giornali ("Biagi? Era un rompic... che voleva il rinnovo del contratto di consulenza").

Scajola, oggi presidente della Provincia di Imperia, prova a smarcarsi: "Quella revoca fu un errore, ma le scorte non le dà il ministro, vengono assegnate dal comitato per l’ordine e la sicurezza". Dunque, "ricordo vi furono valutazioni discordanti tra il comitato per l’ordine e la sicurezza di Roma e quello di Bologna. Quando il professor Biagi veniva a Roma aveva una scorta, mentre a Bologna decisero diversamente. Questa è la storia e questa è la verità", sentenzia.

Per poi concludere: "In questi 20 anni sono state fatte enormi strumentalizzazioni, non ovviamente dalla signora Biagi che è una vittima. Da ministro dell’Interno fui profondamente turbato, ho sofferto tremendamente. Scrissi anche una lettera alla signora Biagi scusandomi, da parte dello Stato, per la sua inadempienza". Le indagini per accertare eventuali responsabilità sulla mancata scorta, che vedevano indagato proprio Scajola (oltre che l’allora capo della polizia Giovanni De Gennaro) si sono chiuse nel 2015 perché il reato ipotizzato è ormai prescritto.

Per quanto riguarda la celebrazione in Aula, oltre a quella di Marina Orlandi si sono alternate le testimonianze di alcuni familiari di vittime del terrorismo: Mario Calabresi, figlio di Luigi, Luigina Dongiovanni, nipote di Franco, carabiniere deceduto nella strage di Peteano e Maria Cristina Ammaturo, figlia del vicequestore Antonio.

Andrea Bonzi

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