
Bologna, 14 gennaio 2023 - C’è un video. Dura appena trenta secondi. Ma in quel mezzo minuto racchiude tutto l’orrore di cui l’uomo è capace. Uno ‘snuff movie’ involontario, quello girato nel capannone di via Larga, che a luglio scorso è stato teatro di torture, culminate nel cruento omicidio di Kaled Maroufi. Un video ritrovato dal Ris nel cellulare di uno degli indagati per la mattanza di gruppo del venticinquenne tunisino. Tre suoi connazionali (Attia Hamza, Mohamed Waz e Hosni Nafzaoui) sono già finiti in carcere. Adesso, i carabinieri hanno chiuso il cerchio sul delitto, con l’arresto di altri due giovani tunisini, Iheb Jawadou e Azer Marzouk, entrambi 20 anni, fermati in Germania, dove si erano rifugiati subito dopo l’omicidio.

I militari del Nucleo investigativo dell’Arma, forti di una mole di prove schiaccianti a carico dei due tunisini, attraverso la pm Anna Sessa che coordina le indagini, avevano chiesto l’arresto internazionale per i due indagati. Marzouk ha ricevuto la notifica mentre si trovava già in carcere a Mannheim, per spendita di monete false; Jawadou, invece, è stato fermato per strada, nei giorni scorsi, dalla polizia tedesca a Karlsruhe. Proprio quest’ultimo, stando a quanto ricostruito attraverso le attività d’indagine, è il protagonista del video recuperato da Ris, che mostra gli ultimi attimi di vita di Kaled Maroufi. Semicosciente, seduto su una sedia, Maroufi è completamente sfigurato e coperto di sangue. I suoi aguzzini, che riprendono la scena con il cellulare, non si vedono. Ma si sentono le loro voci. Si sente la voce di Jawadou, che gli dice: "Dove li hai nascosti? Dove hai nascosto i miei soldi?". E mentre gli altri intorno gli gridano "Ladro, hai rubato i nostri soldi", spunta un braccio, con delle vistose cicatrici, che impugna un coltello: "Eccolo, guardatelo, lo avete visto il ladro? Ha un tatuaggio con scritto mamma", dice chi impugna l’arma, indicando la scritta sul collo della vittima, che taglia con la lama. Maroufi ha un ultimo sussulto vitale. Il filmato finisce. Quel braccio, coperto di cicatrici, sarà riconosciuto come quello di Jawadou.
C’è un altro video agli atti dei carabinieri. La scena cambia, questa volta è la stazione. I cinque assassini, dopo che una occupante dello stabile, testimone del delitto - è lei che descrive il tatuaggio a forma di foglia di marijuana trovato addosso a Marzouk -, ha chiamato l’ambulanza, sono scappati e adesso stanno per separarsi. Tre prenderanno il treno diretti a Ventimiglia, dove verranno bloccati dalla Polfer, avvertita dai carabinieri della loro probabile presenza sul convoglio. Gli altri due complici, fuggiranno in Germania. Scambiandosi messaggi per tutto il tempo del viaggio. E dandosi la colpa, a vicenda, della morte di Maroufi: "Mi stai dicendo che il ragazzo è morto?", chiede Jawadou, che pensa ancora di aver ‘soltanto’ tramortito la vittima, morta dissanguata tra atroci dolori. E inizia così un botta e risposta tra i cinque, in cui ognuno accusa l’altro di aver ‘esagerato’: "Ci eravamo detti: ‘lo torchiamo piano’. Lo colpiamo con i pugni", dice uno. E l’altro risponde: "Ti ho detto di picchiarlo, ma sei andato oltre!". I messaggi vocali, scambiati su Whatsapp e Facebook, estrapolati dal Ris, viaggiano attraverso la rete wi-fi dei treni. Il cui traffico viene analizzato, così come accade per la cella di via Larga, dai carabinieri, nell’obiettivo di individuare i numeri degli assassini. Un’intuizione giusta, che porta prima a Ventimiglia e poi in Germania, da dove adesso è attesa l’estradizione dei due killer. E che porta a chiudere il cerchio su un orrore, motivato da un Rolex falso e un paio di cellulari rubati. Questo il valore della vita di Maroufi.