Sette voci per raccontare chi era Tondelli

Oggi le riprese in città del film di Andrea Adriatico, scritto con Grazia Verasani e Stefano Casi, dedicato allo scrittore morto di Aids

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di Benedetta Cucci

Difficile uscire dallo schema del ricordo, dell’aneddoto, della memoria per voce di chi c’era, quando si racconta un personaggio. Scelgono invece una narrazione che parte da coloro che non hanno ricordi diretti perché sono nati negli anni Ottanta, il decennio tondelliano per eccellenza, Grazia Verasani, Stefano Casi e Andrea Adriatico, che insieme hanno scritto il film tra documentario e finzione ’La solitudine è questa’, dedicato allo scrittore Pier Vittorio Tondelli, morto il 16 dicembre 1991 a 36 anni per Aids, e diretto dallo stesso Adriatico (nella foto, sul set), aquilano da sempre bolognese, alle prese oggi con l’ultimo ciak all’ombra delle Due Torri, prima di concludere le riprese a Berlino.

Adriatico, come raccontate Tondelli?

"La scelta è proprio quella di uscire dal cliché dello scrittore generazionale, dagli anni Ottanta, dalla manfrina tra la via Emilia e il West. E’ invece interessante che alla fine della sua vita, Tondelli avesse avviato ’Under 25’, una serie di antologie dedicate ai giovani scrittori contemporanei, per aiutarli a emergere, sostenendo autori quali Romagnoli, Culicchia, Ballestra tanto per citarne alcuni. E’ stato il mentore di una squadra importante. Nella mia testa il film nasce da interviste. Un’intervista da parte dei due attori Tobia De Angelis e Lorenzo Balducci, per ogni libro che Tondelli ha scritto, a sette scrittori nati negli anni Ottanta che non lo hanno mai conosciuto e che sono tra i più famosi del momento".

Chi sono e cosa leggono?

"Le letture sono riprese nelle città protagoniste del libro. Jonathan Bazzi rilegge ’Camere separate’ a Berlino, Angela Bubba ’Biglietti agli amici’ a Correggio, Viola Di Grado ’Altri libertini’ a L’Aquila, Paolo Di Paolo ’Dinner Party’ a Milano, Alessio Forgione ’Rimini’ ovviamene a Rimini, Alcide Pierantozzi ’Pao Pao’ tra Orvieto e Roma e Claudia Durastanti che proprio oggi, durante le riprese, leggerà a Bologna pezzi di ’Un weekend postmoderno’ portato anche a Firenze".

Chiedi chi era Tondelli?

"E’ questo il tema del film. Una persona tra i 30 e i 40 anni, non sa chi sia Tondelli, al 90%. È un grande problema che tocca gli scrittori che muoiono giovani e anche in circostanze un po’ complicate. Morire di Aids in Italia, è stato uno stigma senza precedenti. E invece lui merita la stabilità di un classico".

Pier Vittorio Tondelli nacque a Correggio ma divenne bolognese come tanti, ‘per mano’ del Dams. Cosa racconta di Bologna?

"Tondelli arrivò a Bologna alla fine degli anni Settanta, inizio degli Ottanta, per il Dams, gravitando in un mondo in fermento e divenendo anche uno dei vostri scrittori più importanti, perché le cronache che sono raccolte in ’Un weekend postmoderno’ sono per lo più gli articoli che lui scriveva per il Resto del Carlino. Tra queste c’è una cronaca dedicata alla morte di Andrea Pazienza che io ho ripreso e che è fortissima. Non è il classico ’Io e Andrea’, è la cruda lettura della morte di una persona e di quello che ha rappresentato l’essere morto da tossico in una dimensione di successo. Lì rileggi Bologna".

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