Spie russe in Italia. "Erano 140 gli agenti segreti aiutati dal Pci"

Salvatore Sechi. "Conservo il dossier con l’elenco degli infiltrati sovietici. Volevano i nostri segreti industriali"

Erano 140 le spie del Kgb in Italia negli anni '60 e '70

Erano 140 le spie del Kgb in Italia negli anni '60 e '70

Bologna, 2 aprile 2018 - Negli archivi del Senato c’è un elenco dettagliato delle 140 spie sovietiche che, a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, hanno lavorato in Europa e prevalentemente in Italia. È protocollato col numero 306. Ci sono nomi, cognomi, funzioni, passaggi da un Paese all’altro dell’Europa Occidentale. Il materiale documentale è agli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta che analizzò il dossier appartenuto al bibliotecario sovietico Vasilij Mitrokhin, passato al controspionaggio inglese e da qui ai servizi italiani.

Salvatore Sechi, docente universitario bolognese di storia contemporanea, ricercatore, consulente della Mitrokhin che si è occupato a lungo del mondo del controspionaggio, del delitto Moro e della strage di Ustica, è colui che ha scovato la lista delle 140 spie. Cosa contiene il dossier? "Svela come lavoravano in quegli anni l’Urss e i paesi del Patto di Varsavia nell’opera di spionaggio verso l’Europa Occidentale. Era una penetrazione massiccia".

Qual era il terreno operativo degli agenti dell’Urss? "Dovevano intercettare prevalentemente informazioni di tecnologia industriale di grandi aziende italiane da utilizzare a scopi militari, settore in cui l’Urss era più debole. Osservavano, fra l’altro, le imprese che producevano auto e sistemi informatici. Agivano con furti di tecnologia o attraverso cammuffamento burocratico".

Chi c’era nel mirino? "Prime fra tutte Fiat e Olivetti, ma anche Eni, Esso, Montedison, Shell".

Il Pci che ruolo ebbe in questa partita a scacchi? "Sapeva tutto, ovviamente, e forniva copertura politica e logistica. Il Kgb, fra l’altro, aveva una linea di controllo diretta che scalcava il Pcus e arrivava in certi casi fino a dirigenti provinciali del Pci. Un alto dirigente emiliano del Partito comunista ebbe il compito di organizzare per conto di Mosca la rete di spionaggio nei confronti dei grandi gruppi industriali".

Chi dirigeva la rete? "Un comunista emiliano, mentre un romagnolo era responsabile dell’apparato paramilitare".

Le spie sovietiche furono mai scoperte? "Molte sono state espulse su pressione della Nato. Erano personaggi che agivano in gran parte sotto l’ombrello diplomatico. Come accade oggi. In quella lista c’erano alti ufficiali dell’esercito che poi occuparono posizioni di vertice una volta rientrati in patria".

Che ruoli ricoprivano? "Erano posizioni di vario genere. C’era un agente del Kgb che a Roma utilizzava una copertura giornalistica, un altro era esperto in rapporti commerciali, un altro ancora si occupava della manutenzione di ricetrasmittenti nascoste. Custodisco personalmente tutti i documenti".

Lei come ha avuto la lista? "Ho fatto ricerche presso il Foreign Office in Inghilterra e l’ho consultata presso la questura di Torino. Ma c’è un’altra persona che rivendica l’autenticità del dossier".

Chi è? "Lorenza Cavallo, che vive tra Parigi e la Linguadoca, a Beziers. È in possesso dell’archivio del marito, Luigi Cavallo, deceduto, esponente dell’anticomunismo italiano ma prima ancora partigiano in Piemonte e inviato de l’Unità, organo del Pci. La lista, elaborata a metà anni Settanta, stava per essere stampata quando la polizia la sequestrò durante una perquisizione nell’ambito del caso Calvi. Si pensava potesse servire a spiegare l’attività di Edgardo Sogno, accusato del ‘golpe bianco’ nel 1974. Anche Cavallo fu coinvolto nelle indagini e poi prosciolto".

Guerra fredda, c’è altro da scoprire sul Kgb? "C’è ancora tanto da raccontare. In parte l’ho fatto in un libro in uscita a breve dal titolo ‘Il Pci e lo spionaggio industriale’".

I diplomatici espulsi in questi giorni dall’Europa e viceversa dalla Russia sono tutti spioni? "Non credo, anche se storicamente le spie hanno sempre goduto di copertura nelle ambasciate".

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