Strage di Bologna, due mine trovate fra le macerie

La perizia ai Prati di Caprara sui detriti. L’ipotesi: "Sono finite lì in seguito a un’esercitazione militare"

AL SETACCIO Le macerie della stazione sul tavolo dell’hangar allestito all’ex caserma San Felice. In basso a sinistra, la mina antiuomo

AL SETACCIO Le macerie della stazione sul tavolo dell’hangar allestito all’ex caserma San Felice. In basso a sinistra, la mina antiuomo

Bologna, 20 luglio 2018 - Cinghie, pezzi di valigie, frammenti di un paralume, uno scarpone con la suola di gomma. Ma anche qualcosa che ben difficilmente si può ricollegare ai detriti della stazione devastata il 2 agosto 1980. Fra le macerie che i periti stanno esaminando da due giorni, infatti, sono spuntate due mine antiuomo. Proprio così. Le hanno trovate ieri gli studenti e i dottorandi del master dell’Alma Mater incaricati di passare al setaccio la montagna di macerie che per 38 anni è stata abbandonata, senza nemmeno una copertura contro le intemperie, ai Prati di Caprara.

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Dai detriti sta emergendo un po’ di tutto: frammenti di effetti personali delle vittime, ma anche oggetti che non c’entrano nulla con la stazione. Come, appunto, le due (fortunatamente inerti) mine antiuomo scoperte ieri. E questo perché l’area è compresa nell’ex caserma San Felice, dove in passato si svolgevano attività militari. Probabilmente le mine sono finite lì dopo qualche esercitazione. Sembra infatti che sul cumulo del 2 agosto sia stato gettato nel corso degli anni materiale di altro tipo.

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I periti incaricati dalla Corte d’assise del processo bis sulla strage, che vede alla sbarra l’ex Nar Gilberto Cavallini, hanno il compito di trovare eventuali tracce infinitesimali di esplosivo analizzando i reperti con le più moderne tecnologie di oggi, ben più avanzate di quelle degli anni ’80 e ’90. L’obiettivo è ricostruire l’esatta composizione della bomba che devastò la stazione uccidendo 85 persone e ferendone 200. Il capo del team di esperti è Danilo Coppe, aiutato dai ragazzi dell’Università e affiancato dai periti di difesa e parti civili. Il problema è che esiste il rischio di contaminazione. Un pericolo che, alla luce della scoperta delle mine, appare quanto mai concreto.

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«Noi temevamo che in un’area militare potessero avvenire contaminazioni, anche con esplosivi – attacca Gabriele Bordoni, uno degli avvocati di Cavallini –. Ora c’è la prova lampante di questo. Sono state trovate due mine antiuomo, per fortuna inertizzate. Significa che lì è stato buttato di tutto. Se mai i periti trovassero delle molecole di esplosivo, che valore avrebbe la scoperta? Chi ci assicura che non siano il frutto di una contaminazione? Io avevo posto fin dall’inizio il problema in udienza sul fenomeno di conservazione dei reperti. Un problema che però non è stato risolto».

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